Un racconto di Edoardo Pastore
Numero di battute: 2456
Occorre innanzitutto un avventuriero o giramondo di professione, non mai improvvisato e soprattutto inventato. Ha tanto passato e un incerto futuro, più pregi del lettore e spesso i vizi dello scrittore: è scaltro, prestante, audace, innamora ogni donna che incontra; beve, fuma, gioca d’azzardo, dorme sempre fino a tardi.
Dispone d’una traccia da seguire, di un indizio: diciamo una mappa, manoscritta su una vecchia carta ingiallita o incisa su un qualche coccio logoro e scheggiato, poco importa se vinta al gioco o acquistata per poco da un ignaro rigattiere: l’importante è che una “x” rossa e speranzante sia lì sopra e ben leggibile: che insomma la mappa sia una mappa del tesoro. A questa s’aggiungano tutti i ferri del mestiere, un diario, un buon libro (magari di Jack London, già letto e riletto), un ricordo famigliare e almeno un portafortuna; infine, del denaro: poco, al solito, ma sufficiente a coprire le spese del viaggio d’andata; per il ritorno, si vedrà.
Occorre poi una meta: le vette del Parapamiso o della Cordillera Huayhuash, il deserto rosso del Kalahari o il bianco del Chihuahua, le sperdute isole Marchesi o l’arcipelago Palau, oppure Samarcanda o i sobborghi di Mumbai, Bangkok o Caracas, o qualche luogo fantastico e leggendario che non abbiam qui tempo e spazio di immaginare. Anche questo poco importa: la mappa sarà ben più precisa di noi, e poi ciò che conta – come tutti sanno – è il viaggio; e su questo qualche certezza l’abbiamo.
«Occorre poi una meta: le vette del Parapamiso
o della Cordillera Huayhuash.»
Il tesoro, se pure esiste, senza dubbio è ben nascosto in qualche luogo remoto, protetto da trappole, guardiani, enigmi e indovinelli. La strada per raggiungerlo è impervia e pericolosa: passa per mari in tempesta, monti avvolti dalla bufera, deserti riarsi e bollenti e giungle fitte annegate dalla pioggia, e ancora paludi, valli, fiumi, steppe e ghiacciai. E che dire poi dei variegati e inturpiti abitanti di questi estremi angoli del globo: ovunque sono ladri assassini truffatori della peggior specie, e visionari vagabondi maghi e cartomanti, disertori approfittatori e corrotti d’ogni genere e schiatta e poi fiere squali e rapaci spaventevoli e affamati, dai denti aguzzi e dagli artigli affilati. Ma sappiamo anche che qua e là ci son di per certo amicizie e brevi amori, ospiti gentili e ostelli sicuri, qualche treno non perso, un po’ di serenità e forse laggiù, in fondo in fondo, il tesoro.
A quest’avventura occorre un finale; ma lo spazio è finito, e forse è meglio così.
Edoardo Pastore (1994) è nato a Biella e cresciuto a Valduggia, sperduto paesino della Valsesia. Attualmente vive a Torino, dove sta per (ri)laurearsi in filosofia ed è lettore per il Premio Calvino. Questo è il suo primo racconto.
Un racconto di Michele Crescenzo
Numero di battute: 2384
L’uomo schiaccia il piede sull’acceleratore dell’auto a noleggio. Scorge Palau in lontananza. La pineta trema nella foschia del tramonto. Alcuni motorini si muovono lungo il porto, gironzolano come moscerini della frutta.
Quella è la terra della sua infanzia. Saranno decenni che non ci torna.
L’auto rallenta, la fretta è sparita.
L’uomo stacca la mano dal volante e si massaggia il collo stretto nel colletto della camicia bianca. Sospira. Quando andavano via i vacanzieri, la Sardegna si trasformava lentamente nella terra dei silenzi, delle stelle limpide e dei Re Magi. Quando era bambino, Nazareth e Betlemme non erano affatto in Medio Oriente ma nel cuore dell’isola, erano uno di quei paesi con i vimini fuori dalle porte e le case con i tetti a punta che ricordavano tanto le stalle. Quelli con le donne che indossavano scialli scuri e gli uomini silenziosi, sempre silenziosi come se nascondessero dei segreti. Di notte le stelle erano grandi e luminose, di una luce così abbagliante che era ovvio che i Re Magi ne avessero seguita una per orientarsi.
Da bambino, lui e il padre puntavano una stella e inventavano storie su quello che sarebbe successo se le avessero inseguite.
A quell’età, tutto quello che desiderava era partire con lui per rincorrerne una.
«L’auto rallenta,
la fretta è sparita.»
L’auto esce dalla strada principale e ne inizia una secondaria. Una nuvola di polvere si alza dalla via coperta di ghiaia e aghi di pino. Un gruppo di capre pascola all’ombra di una quercia da sughero.
L’uomo abbassa il finestrino. Sente l’odore, un misto di salsedine e catrame riscaldato dal sole. Se si fermasse potrebbe sentire anche lo zolfo, il salmastro e il mirto.
Suo padre d’estate era sempre assente. Un anno gelataio, l’altro anno bagnino, l’altro ancora ormeggiatore nel porto della Maddalena. Lo ricorda mentre diceva che quella non era vita e che aveva bisogno di un lavoro stabile. Ripeteva ad alta voce che doveva andare a lavorare nel continente mentre la madre si preoccupava e il nonno si innervosiva.
L’uomo poggia il piede sul freno. L’auto rallenta fino a fermarsi. Esce dall’auto. Si toglie la giacca nera e la cravatta scura. Doveva venire qui. È questo il posto giusto per dire addio al padre.
Si strofina gli occhi con i palmi delle mani. Alza lo sguardo verso l’alto. Piccole stelle bianche si intravedono appena su un cielo rosso come un livido. Tra poco saranno visibili e saprà dove andare.
Michele Crescenzo (1997) è di Napoli, ma vive e lavora a Milano. Organizza eventi letterari alla libreria Gogol&Company. Gestisce Ti ho Rivista, tabloid sul mondo delle riviste indipendenti italiane. Ha tradotto articoli ed estratti per Satisfiction. Ha pubblicato racconti su antologie (In viaggio e Memoracconti) e riviste letterarie (Carie, ’tina, Talking Milano). Ha vinto il Premio Chatwin nella sezione racconti. Sta lavorando al suo primo romanzo.
Un racconto di Nicoletta Verna
Numero di battute: 2267
La luce del neon mi ghiaccia, c’è odore di fumo e di chiuso. Siedo di fronte a una donna che somiglia vagamente a Lena, ma Lena è più bella. O lo era.
«Che cosa ricordi?» mi chiede.
Rispondo: «Niente», ma non è vero.
Ricordo che camminavo da solo lungo una strada completamente deserta. A me non piace, la solitudine. Stare solo con me stesso mi spaventa. Credo che il problema sia questo.
Finalmente ho visto qualcuno in lontananza e l’ho raggiunto veloce, pieno di sollievo. Era un ometto dal viso sgradevole. Ed è qui che tutto si fa più confuso.
«Buonasera. Lei chi è?» ho chiesto.
«Chi è lei, vorrà dire» ha risposto.
«Mi chiamo A., molto piacere.»
«Io mi chiamo A., vorrà dire.»
«Non c’è niente di strano» ho replicato gentilmente, «lei ha il mio stesso nome.»
«Lei ha il mio stesso nome, vorrà dire.»
«Lei ha il mio stesso nome, vorrà dire.»
Me ne sono andato, non era un dialogo che desse molta soddisfazione. Eppure mi sentivo così solo che avrei fatto qualunque cosa pur di avvertire la vicinanza di qualcuno.
Poi, dal nulla, è apparsa Lena. Era soave come un angelo e ho capito che mi avrebbe ascoltato e accompagnato per sempre. Le sono volato incontro, disperatamente felice.
«Vuoi sposarmi?» le ho chiesto in un soffio.
«Sì» ha sussurrato.
L’ho stretta forte, quando ho visto alle sue spalle di nuovo quell’uomo disgustoso.
«Mi sposa!» gli ho gridato.
«Sposa me, vorrà dire.»
Ho girato la faccia dall’altra parte.
«Credi che lei sarà per sempre tua? Che idiota» ha sibilato. «Ti tradirà. È già successo. Succederà di nuovo. Lo sai.»
«Non è vero!»
«Che idiota.»
Ho preso per mano Lena e siamo corsi via sulla strada deserta, e poi improvvisamente lei non c’era più.
In quel momento è passata un’auto. L’ho fermata.
«In che direzione va?» ho domandato al conducente.
«In che direzione va lei, vorrà dire.»
Mi è quasi venuto da piangere. «Perché mi perseguita?»
La luce del neon mi ghiaccia, c’è odore di fumo e di chiuso.
La donna chiede: «Perché hai ucciso Lena?».
Non rispondo.
«D’accordo. Vediamo se con il mio collega sarai più loquace.»
Dice al telefono: «Esattamente. No. Ci pensa lei, tenente?».
Realizzo che è notte, che ho freddo, che sono pieno di stanchezza. Chiudo gli occhi. Quando li riapro il tenente sta entrando nella stanza. Lo guardo atterrito.
«Ma che ci fa lei qui?» grido.
«Che ci fa lei, vorrà dire.»
Nicoletta Verna (1976) è romagnola ma vive a Firenze, dove si occupa di comunicazione e web marketing per la casa editrice Giunti Scuola. Ha pubblicato saggi e volumi su media e cultura di massa. Ha scritto un romanzo segnalato al Premio Calvino 2018 e ha pubblicato alcuni racconti.
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