Un racconto di Niccolò Amelii
Numero di battute: 2485
In superficie si sta bene, entra parecchia luce dalle ampie vetrate del salone, l’aria circola con frequenza regolare, il panorama si delinea sinuoso dal parapetto della veranda e i colori del tramonto si stagliano quotidianamente all’orizzonte dipingendo bagliori impressionisti sulle pareti. Non c’è alcun problema di connessione o di segnale in superficie, i suoni si percepiscono con chiarezza, il cibo è buono e abbondante.
Ogni servizio è a portata di mano, ogni piccolo lusso o vizio può essere soddisfatto con un po’ di pazienza e fortuna. Ecco perché tutti vogliono rimanere in superficie e si applicano con abnegazione, costanza e una punta di benevole arroganza affinché tale volontà non venga mai delusa.
«Ecco perché tutti vogliono rimanere in superficie.»
La cantina invece fa paura, se ne parla sommessamente in rare occasioni, a bassa voce prima di addormentarsi e per pochi minuti. Nessuno è mai risalito dalla cantina, perciò coloro che vengono prescelti per scendere le scale sono consapevoli che probabilmente non rivedranno i loro cari, gli amici o lo scintillio tenue del sole all’alba. Con lo sguardo abbassato e il volto contrito in una smorfia di tristezza indicibile si incamminano mesti, cadenzando i passi e i saluti. A volte qualcuno urla, strepita, si sdraia scalciando sul pavimento prima di essere risucchiato dall’oscurità della scala, ma più frequentemente la lunga processione si svolge in silenzio.
Sebbene mi ritenessi intoccabile e mi crogiolassi nella convinzione del tutto vana di poter resistere in superficie per il resto della mia esistenza, un giorno sono stato chiamato, io solo, irrevocabilmente. Ho pianto, ho serrato i pugni, ho invocato i santi e lanciato le maledizioni più audaci, tempestato l’aria di bestemmie e ingiurie, eppure a nulla è valsa la mia furia disperata. Mi hanno scortato senza parlare sino alla scala, io solo, non era mai successo prima. La scala era lunga, di una pendenza vorticosa e i gradini consumati e pieni di buchi, una sostanza vischiosa ricopriva gran parte del corrimano. Non ho avuto la forza di voltarmi indietro un’ultima volta e, arrivato stremato alla soglia della cantina, loro mi hanno afferrato le braccia e mi hanno portato dentro, respiravo a fatica.
Non sono mai più risalito in superficie, ci ho provato nei primi tempi di prigionia, ma i miei tentativi di fuga sono sempre stati scoperti o braccati. Per questo motivo ho deciso ben presto di rinunciare. Mi sono abituato, in fin dei conti nella cantina si vive bene, ora il buio è la mia luce.
Niccolò Amelii (1995) è laureato in Editoria e scrittura all’Università La Sapienza e ha fondato il sito di critica e cultura Quaderni contemporanei. Ha pubblicato articoli su Nazione Indiana, Poetarum Silva, Flanerí, Diacritica, Frammenti; racconti su Altri Animali, Clean, Blam. Ha partecipato alla XXXIII edizione del Premio Calvino.
Un racconto di Rosaria Leonardi
Numero di battute: 2494
Le lenzuola non vengono cambiate da un paio di settimane ma la lavatrice è ancora piena di colorati. Le scarpe di Mattia vanno messe a posto. Il cesto della biancheria è colmo e il ferro da stiro ammuffisce da giorni sull’asse a fiorellini blu. L’infermiere ha dimenticato l’antibiotico. Lucia ha il compito di matematica. Il supermercato sotto casa ha in offerta le fette biscottate e i pelati. Quello a due isolati il pesce surgelato e la carta igienica. Nicola ha la colite e la verdura non va bene. La signora di fianco si è lamentata di Ventosa. Bisogna ritirare le ricette dal medico. La veterinaria ha chiamato per il richiamo delle vaccinazioni. Anselmo del primo piano vuole il numero dell’amministratore. Il suo capo è in menopausa. Mattia e Lucia hanno i colloqui ma Nicola ha il turno del pomeriggio.
Olga sospira e apre gli occhi mentre quattro gommini pelosi si avventano sulla sua bocca. Afferra la sveglia prima che inizi a trillare: sono le 5:47 ma il sonno l’ha abbandonata mezz’ora prima. Ventosa le si arruffiana attorno al viso.
«Il cesto della biancheria è colmo.»
Prende il gatto e si alza, portandoselo sottobraccio. Il buio è interrotto dalla luce zebrata dei lampioni che filtra dalle tapparelle. Il letto cigola mentre Nicola si gira su un fianco e riprende la sua litania nasale. Cerca le ciabatte con i piedi, tastando il pavimento freddo, e si avvia silenziosa verso la cucina. Ventosa mugola piano. Quando la mette a terra, le si attorciglia ai piedi e per poco non la fa ruzzolare.
Olga fa una smorfia e si porta una mano sulle reni.
Sbircia nella stanzetta dove sua madre russa con la bocca aperta su un cuscino basso. Chiude la porta e, in cucina, versa una manciata di crocchette nella ciotola di metallo accanto al divano. Ventosa ronfa soddisfatta ed esplora con fare circospetto la sua colazione.
I piatti della cena sono nel lavello e Mattia le ha lasciato la divisa sporca del calcetto nel tinello. La lista della spesa accanto al frigorifero si è allungata e la bolletta della luce scade oggi.
Olga si stropiccia gli occhi e mette a scaldare il bricco.
Il salotto è in penombra ma riesce a versarsi una tazzina di caffè. La beve in fretta, mentre tenta di sbrogliarsi i capelli.
La busta è ancora discreta sul piano della cucina dove l’ha lasciata il giorno prima. Olga l’afferra e va nel tinello. La luce è fioca. Deve cambiare la lampadina.
Afferra lo stick e legge le istruzioni sulla confezione. Le conosce già ma vabbè.
Si abbassa gli slip e si blocca.
Lo stick non le serve più.
Olga sorride.
Rosaria Leonardi (1982) vive divisa fra la realtà e l’immaginazione. È una storica di professione ma i libri e la scrittura sono la sua seconda vita. Ha scritto saggi scientifici e prova ad avviarsi lungo la strada della narrativa.
Lavoriamo molto con i privati, seguendoli in tutte le fasi di scrittura, ma ci occupiamo spesso anche di progetti per case editrici e aziende. Ecco una selezione dei nostri lavori.
Giuliano Ubezio
In forma con il DOC
Cairo
settembre 2024
pp. 175
Tipologia di lavoro: curatela
Federico Buffa con Fabrizio Gabrielli
La milonga del futbol
Rizzoli
agosto 2024
pp. 516
Tipologia di lavoro: editing
Carota Boys
Sogno arancione
BUR
aprile 2024
pp. 224
Tipologia di lavoro: curatela
Andrea Bariselli
A Wild Mind
Rizzoli
aprile 2024
pp. 300
Tipologia di lavoro: curatela
Nicola Madonia
L'ultima notte di sole
Rizzoli
gennaio 2024
pp. 264
Tipologia di lavoro: curatela
Luca Trapanese
Non chiedermi chi sono
Salani
ottobre 2023
pp. 224
Tipologia di lavoro: curatela
Alessio Marzulli (Sylveon Berlusconi)
Cercasi Piddì disperatamente
Cairo
ottobre 2023
pp. 208
Tipologia di lavoro: curatela
Lorenzo Maddalena
Il viaggio che vuoi veramente
Cairo
maggio 2023
pp. 160
Tipologia di lavoro: curatela
Bruno Mossa de Rezende
Dal buio all'oro
Rizzoli
aprile 2023
pp. 252
Tipologia di lavoro: curatela
AA VV
Alpini
Solferino
ottobre 2022
pp. 224
Tipologia di lavoro: curatela
Borja Valero
Un altro calcio
Rizzoli
settembre 2022
pp. 216
Tipologia di lavoro: curatela
Riccardo Piatti
Il mio tennis
Rizzoli
novembre 2021
pp. 240
Tipologia di lavoro: curatela
Simone Moro
A ogni passo
Rizzoli
novembre 2021
pp. 272
Tipologia di lavoro: curatela
Justine Mattera
Just Me
Cairo
maggio 2021
pp. 176
Tipologia di lavoro: curatela
The Jackal
Non siamo mai stati bravi a giocare a pallone
Rizzoli
marzo 2021
pp. 288
Tipologia di lavoro: curatela
Matteo Bassetti
Una lezione da non dimenticare
Cairo
novembre 2020
pp. 176
Tipologia di lavoro: curatela
Francesco Cognetti, Mauro Boldrini
Oltre le Olimpiadi
Cairo
luglio 2020
pp. 224
Tipologia di lavoro: curatela
Un racconto di Lorenzo Zerbola
Numero di battute: 2463
La terza guerra mondiale tanto attesa scoppia a causa di un meme su internet. L’America si divide in Stati Uniti d’Oriente e Stati Uniti d’Occidente, rinunciando così per sempre alla sigla. Los Angeles brucia mentre New York resiste in un lusso decadente dall’aria orientale. L’Europa è solo una grande confusione di anime in pena, inguaribili romantici e case scoperchiate. Satelliti, ripetitori e server sono stati distrutti. Non c’è più internet, ma alcuni si ostinano lo stesso a guardare gli schermi neri dei cellulari, battendo le dita sull’inerme superficie liscia.
Un erasmus scappa da un campo di prigionia. Il viaggio verso casa è lungo e pericoloso, e spesso è costretto a rimanere lunghi periodi fermo e nascosto, in attesa di un varco. Grazie però a una parentela, uno zio fattorino, il popolo nomade dei camionisti lo accetta e supera così le Alpi, nascosto tra il carico di merce.
«Ora davanti a sé ha il grande deserto padano.»
Ora davanti a sé ha il grande deserto padano da attraversare. Decide di percorrere l’autostrada fino a Bologna. Da lì proseguirà verso Sud attraverso gli Appennini smussati dai bombardamenti, chiedendo ospitalità a vecchie conoscenze, compagni di studi o altri superstiti.
Cammina di notte, per evitare il caldo del giorno. Con il suo telo mandala, che aveva staccato dal muro della sua cameretta prima di essere deportato, costruisce nelle aree di sosta una capanna per farsi ombra e pensare a Cristina. Hanno scelto di viaggiare separati fin dall’inizio, perché nessuno dà mai passaggi a più di una persona per volta. Troppo pericoloso per gli automobilisti, non si fidano.
Dalle parti di Piacenza Nord, trova un autogrill aperto. Cerca di capire quanti chilometri mancano da un cartello pubblicitario che gli ricorda di essere “in un paese meraviglioso”. Entra, si siede al banco e prende un caffè. Attorno a lui, leste figure rubano caramelle e pacchi di patatine. Va in bagno e si chiude nell’unico cesso rimasto agibile. Sulla parete di piastrelle, con un pennarello nero, comincia a scrivere: «Cristina, sono io…».
Stringe i denti. Non riesce più a ricordare il suo nome. Sono quattro anni che fugge, e si rifiuta di utilizzare il numero impresso sull’avambraccio. Poi però si accorge che nell’angolo in basso del muro c’è un simbolo che ha tatuato sulla gamba, e Cristina sotto il seno sinistro. È già passata di qua. Esce dal bagno, rimettendo il pennarello nel suo zaino da trekking, paga il caffè a una commessa dall’aria annoiata, e si rimette in cammino.
Lorenzo Zerbola (1993) scrive racconti (alcuni sono stati pubblicati su Verde e L’Inquieto) e inventa giochi di carte. Buon piede destro, ma non passa mai la palla. Sonnolento. Ciò che lo contraddistingue maggiormente, dicono, è la sua capacità di dare ottime indicazioni stradali.
Un racconto di Cecilia Gabbi
Numero di battute: 2391
Ricordo quando ci dicevano che sembravamo così innamorati.
Faceva freddo sulla terrazza del teatro, era fine aprile. Le mani sul tuo petto e le spalle coperte dalla tua giacca. Ricordo, forse.
Alla stazione del treno ti ho odiato, non so nemmeno per quale motivo avessimo litigato. Solo insofferenza. Non importava più il mese, di giacche bastava la mia e nessuno più ci guardava, nemmeno noi.
Forse per questo ero così affamata di loro. Non potevo dimenticarmene, ogni giorno dovevo rendere di conto. Pretendevano, esigevano. Per questo mi hanno salvato.
«Per questo
mi hanno salvato.»
Una lettura fuori dal programma, Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Già, forse più scontata di quanto pensassi, eppure. Entro in classe, parliamo del libro per quasi un’ora. Mi sorprendono, sono interessati. Mancano quindici minuti, voglio provare ad andare oltre. Il libro non è che un pretesto. “Prendete un foglio. No, non sarà valutato”. La prima grande cosa che hanno fatto o che faranno. La consegna è questa.
Suona, si precipitano fuori e io mi confondo tra loro all’uscita.
A casa sgombero in fretta il tavolo dagli avanzi della colazione. La plastica dei crackers, la tazza del caffè. Appoggio i fogli sulla tovaglia vicino alle macchie di marmellata. Cosa vado cercando in queste confessioni? C’è chi d’estate ha viaggiato da solo, chi ha cambiato sport e chi ha perso qualcuno. C’è chi ha appena scelto le superiori e chi è già preoccupato per l’università. C’è chi...
E poi c’è L., che dall’ultimo banco dell’aula mi confessa che lui una grande decisione non l’ha mai presa. Però c’è una ragazza, più piccola. E c’è anche una sensazione forte che non ha mai provato ma che gli piace, una sorta di “continua attesa e incertezza su quello che accadrà”. Vorrebbe baciarla ma gli manca il coraggio. Certo, sembra un piccolo passo. Altri parlano già del futuro, di piani e progetti. E lui? Di ora. Anzi, di oggi pomeriggio, di quando la vedrà. Non c’è grande volo senza piccoli passi. E allora si decide: la bacerà. Si scusa per il tema, forse è troppo personale, ma si è lasciato prendere un po’ la mano. E io? Lo scuso?
Penso solo a questo sabato di dicembre, alla neve di ieri e a questi due che camminano insieme mentre la paura se ne va e, forse, chissà. Lo scuso, mi scuso. Per aver smarrito quell’incertezza, per aver dimenticato. Lo scuso, lo scuso questo L. che, a quindici o sedici anni, mi ricorda che cos’è l’amore.
Cecilia Gabbi (1995) è nata a Reggio Emilia e studia a Bologna. Ama del teatro la sua necessità, della scuola gli incontri e di Italianistica ciò che le regala la lentezza della letteratura. Attualmente sta lavorando a una pubblicazione per Culture Teatrali. Di solito scrive solo per sé.
Commenti recenti