Un racconto di Savina Tamborini
Numero di battute: 2010
Yolanda bacia la fidanzata. «Minchia che bello!»
«Te l’avevo detto!»
Entrano nell’acquapark. Si tolgono i vestiti e rimangono in costume.
La fidanzata le piglia la mano. «Vieni, proviamo la seppia.»
Si mettono in fila per la nuova attrazione estate 2023. Vicino c’è una famigliola.
«Papà, papà, guarda, c’ha le minne e anche il pisìeddu!»
La fidanzata prende Yolanda sotto braccio. «Per carità non ti girare.»
«Non guardare cretino; ho detto chiudili!»
«Ahio!»
«Non piangere che stavi guardando!»
Yolanda libera il braccio. «Minchia, lo fracchiò ì coppa.»
La fidanzata la riagguanta. «Yole, per favore, facciamo finta di niente». La trascina avanti.
Yolanda gira la testa. Il papà la guarda e sputa. «Fai schifo!»
Yolanda ha le spalle al muro, la fidanzata la ferma. «Yole, calmati, calmati.»
«Lo ammazzo a chiddu.»
«Certu così ci massacra. Ma non hai visto che bestia!» La bacia.
Yolanda si ritrae. «Nessunə ha reagito».
«E chisselincula a chiddi! Yole, siamo qua per divertirci, no?». Si lancia nell’acqua. «Amurì, buttati, la seppia ti piacerà assai!»
«Papà, papà, guarda, c’ha
le minne e anche
il pisìeddu!»
La testa della seppia è disegnata con gli occhi chiusi e la bocca sorridente. I tentacoli sono scivoli che si muovono su e giù; i corpi escono e planano sull’acqua.
Yolanda e la fidanzata si spruzzano, ridono, si immergono con i nasi tappati. Fanno le bollicine. Si baciano sott’acqua. Riemergono. Ridono ancora.
Una folla si è radunata intorno a loro.
«Depravate.»
«Vergognatevi.»
«Schifose.»
«Annarisinni.»
«Chiamate le guardie.»
Yolanda si stringe alla fidanzata. Un pugno le arriva sulla schiena. Una mano le tira i capelli.
La fidanzata si lancia a scudo. «Non la toccate!».
Due la afferrano e le ficcano la testa sotto.
«Aiut…»
La seppia apre gli occhi, storce le labbra e avanza verso il gruppetto. I tentacoli stritolano e spezzano le ossa, l’acqua si colora di nero e di sangue.
Yolanda e la fidanzata piangono abbracciate. Intorno a loro pezzi di corpi galleggiano.
Un bambino corre avanti e indietro sul bordo piscina. «Papà, papà!».
La bestia non c’è più.
Savina Tamborini vive, scrive e insegna a Stoccolma. Da aprile 2021 ha pubblicato racconti su Crack, Rivista Blam, Morel voci dall’isola, Biró, Lunario, Rosebud scrittura collettiva, Racconti dal crocevia, Malgrado le mosche, Megazinne, Split. Su Crack esce FIGURARSI, la rubrica queer sulle figure retoriche in collaborazione con l’artivista Giannino Dari.
Un racconto di Manuel Toso
Numero di battute: 2463
Ho smesso di preoccuparmi del caso e del destino e di tutta quella filosofia che si fa quando ci si rende conto che la vita è anche sofferenza.
Finita l’università, io e Anna decidemmo di mischiare gli spazi prendendo casa insieme. Fu lei a insistere per avere il bagno con la vasca. Mentre stava ore chiusa in bagno, io rimanevo seduta alla finestra, nella luce pallida d’autunno, quando fuori tutto è inerte e vorresti correre e saltare e ballare solo per fare un dispetto al mondo.
Iniziò con una foglia secca appiccicata sul fondo della vasca. Nulla di strano, a novembre le foglie secche sono un evento che desta meraviglia, non sconcerto, e capita che qualcuna si incastri nella trama dei maglioni.
«Iniziò con una foglia secca appiccicata
sul fondo della vasca.»
Coi giorni, però, le foglie crebbero di numero. Io le raccoglievo e le infilavo nei barattoli che tenevo in cucina, sopra il mobile con la scritta delicatessen. Anche se cercava di nasconderlo, ogni foglia che finiva in quei barattoli scatenava in Anna una felicità selvaggia. Non era semplice strapparle informazioni. Se alludevo alle foglie, lei si contraeva in una smorfia colpevole, come un bambino che vede fallire un piano che sembrava perfetto.
Un pomeriggio, senza che io le chiedessi nulla, mi parlò di un sogno e di una piscina che brillava come una stella. «E le foglie?» dissi. Per un attimo che sembrò lunghissimo, rimase in silenzio. «Ce ne sono così tante che non si vede il fondo» disse.
Tutto finì di colpo. Non c’è alcun legame tra sorpresa e dolore. Il dolore arriva quando sai già cosa aspettarti. Dissi ai vicini che Anna era partita. Svuotai i barattoli sotto la siepe in giardino. Presi tempo nella speranza che fosse abbastanza. Impacchettai la mia roba e mi stupii di quanta vita potesse contenere uno scatolone.
Fuori, intanto, senza alcun preavviso, aveva iniziato a piovere. Pioveva e non c’era una ragione, un senso, un discorso opportuno da fare, preparato o improvvisato, capace di spiegare perché la pioggia cadesse su ogni cosa. Mi sembrò di vederla comparire sull’uscio, infilarsi le scarpe e raccogliere l’ombrello dal cesto. La guardai allontanarsi attraverso l’immagine offuscata della tenda.
Aveva già smesso di piovere, anzi, a parte qualche pozzanghera, nessuno avrebbe detto che aveva piovuto. Era come se qualcuno si fosse divertito a strizzare le nuvole. Anna scendeva dalle scale come l’acqua dalle grondaie, libera e perduta. Tutto quello che sentii dopo fu il frastuono di vetri infranti. E, infine, il silenzio.
Manuel Toso è nato a Tortona nel 1995. È laureato in Letterature moderne e spettacolo all’università di Genova. Attualmente vive a Roma, dove lavora come sceneggiatore.
È anche redattore di Birdmen Magazine, rivista di cinema, serie tv e teatro.
Un racconto di Francesca Caponi
Numero di battute: 2480
In quella stanza stranamente accogliente del centro crematorio è seduto un fratello, Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci a esprimerlo con le parole pensa a quando era giovane e insieme alla sorella partirono dalla casa materna di Cutigliano per andare al concerto di De André; pensa alla sua mamma, Anna, chi lo sa se i morti si danno il benvenuto e se ha già accolto la figlia.
In quella stanza è seduta una cognata, osserva il marito e si lascia guidare dai suoi stati d’animo, una carezza alla figlia, un saluto strozzato nel cuore che non è riuscita a dire, che non è riuscita a fare.
In quella stanza è seduta una nipotina. Ha sette anni, sua zia è finita in un mondo magico e misterioso, forse è diventata una stella, forse vive in una casa fatta di nuvole che forse sono fatte di zucchero filato, osserva i genitori, accarezza le guance bagnate del babbo, dice un ti voglio bene allo zio.
«In quella stanza stranamente accogliente.»
In quella stanza c’è anche un marito, un marito che ancora non sa cosa pensare. Riconosce in quei momenti una sottile percezione di sollievo e se ne vergogna: è finita. Quella bara si porta via la sua compagna di una vita e anche lunghi, interminabili mesi strazianti di una malattia mangia speranze, mangia sogni, mangia tutto.
Sono tutti molto stanchi. Fissano la bara, un po’ in silenzio, un po’ piangendo, un po’ parlando, un po’ ridendo; sì, ogni tanto dicono qualcosa che li fa ridere, e ridono, e in quelle risa ci sta un universo. Un addetto apre la porta Scusate borbotta, poi entra, scrive con un pennarello nero un numero a più cifre sulla bara, si volta Sentite, la cassa viene bruciata, se volete scriverci qualcosa potete farlo dicendolo lascia il pennarello sulla bara ed esce, portandosi via ogni rumore.
I minuti si sgranano uno dietro l’altro, poi il fratello si alza e raggiunge il pennarello, Ci vediamo a Cutigliano. Dai un bacio ad Anna chiama la figlia e le dà il pennarello, Ciao zia con la manina di seconda elementare un po’ tremula. La cognata lo fissa con gli occhi impiastricciati di nero e lacrime, fa cenno di no.
Il marito si alza, prende il testimone e ora pensa. Pensa a quel primo bacio al buio nel teatro vuoto, al rinfresco del matrimonio in quello stesso teatro, a quella volta che l’aveva inseguita in bici con un mazzo di fiori tra le risa dei passanti, alla foto in Grecia con quel fiore tra i capelli, alla nascita delle figlie, ora adulte, al sole d’agosto nel giardino della loro casa in montagna. Sei ancora la mia fidanzata.
Francesca Caponi (1991) nasce e vive a Empoli. Laureata in Filosofia e forme del sapere all’Università di Pisa, ha frequentato corsi di scrittura alla Scuola Carver di Livorno e alla Scuola di Cinema Immagina di Firenze. Suoi racconti sono stati pubblicati con la casa editrice Valigie Rosse. Cofondatrice del sito internet di letteratura per l’infanzia Zucchero Librato, ha due bambini, Teresa e Giulio.
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