Un racconto di Simona Castanotto
Numero di battute: 1469
Sì, tesoro, sono proprio io, con la guancia appiccicata alla scrivania, il collo curvo, le pupille grasse e lontane.
Ieri mi sono alzata presto, ho raccolto i capelli e mi sono messa le perle.
Ho chiamato Marta per l’evento della Fondazione e il tennis per la lezione di mercoledì. Con Pigi, certo, perché gli altri non è che mi piacciano granché.
Verso mezzogiorno ho portato Jack a fare un giretto. Ah, a proposito... dice l’edicolante che ti ha tenuto da parte «il Corriere».
Non mi ricordo cosa ho fatto poi, penso le solite cose, ma comunque a un certo punto mi sono adagiata sul divano.
«Il telefono squillava, squillava...»
Quando mi sono svegliata, il giorno già si scrostava nella sera.
Il telefono squillava, squillava...
Dice che lo scandalo non si può proprio evitare, non si può.
Subito s’è fatto buio, e che freddo!
Allora mi sono tolta i vestiti per sentire ancora più freddo, poi mi sono versata uno scotch, per sentire più caldo.
Tutta nuda me ne sono andata in corridoio e mi sono vista nello specchio grande.
«Ma chi è questa?» ho detto, «guarda come assomiglia a mia madre!»
E quindi mi sono fatta una bottarella. Piccola, giuro. Una sniffatina, si diceva ai miei tempi, quei tempi che ancora scopavamo, sì, dai, quando non lavoravi sempre fino a tardi – ma ho dato da mangiare a Jack? Non ricordo...
Mi sono seduta qui e mi sono messa a giocherellare con la pistola.
È così che mi s’è spezzata l’unghia: l’estetista nuova fa proprio schifo.
È notte all’alba e nevica, nevica forte sulla scrivania.
Simona Castanotto è siciliana, giornalista pubblicista e traduttrice. È stata semifinalista alla call 2021 per racconti brevi del Premio Calvino e ha pubblicato su Rivista Blam.
Un racconto di Alessandro Lucà
Numero di battute: 2459
Hai spaccato la testa alla persona che più amavi con un blocchetto da muratura, complimenti. Il blocchetto si è sbriciolato nei capelli impolverati e ha dato alla testa una forma stomachevole. Adesso mentre ti affanni per evitare l’implosione interiore, devi pure affrettarti a nascondere il cadavere.
Hai poco tempo, ti do una mano. Avvolgi la testa con una di quelle buste di plastica, così contieni le perdite. Pulisci con una secchiata d’acqua verso la griglia di scolo, sarà sufficiente. Trascina il corpo in fondo alla scarpata, poi all’ombra dei cactus sulla destra, fino – no, non ci siamo, se ti metti a frignare adesso è finita, nessuna pisciata fra amici dura per sempre e non puoi farti trovare in questo stato. Ti prometto che se fai come ti dico non succederà niente.
Infrascati tra le sterpaglie fuori dal sentiero, sta passando un cane. Copri l’odore di sangue col terriccio e la direzione del vento dissiperà il resto. Lo vedi perché devi darmi retta?
«Lo vedi perché
devi darmi retta?»
Stringi la busta, sta gocciando. Prosegui fino allo spiazzo, dove stanno gettando le fondamenta. La terza vasca, quella davanti a te, è ancora fresca. Ti dirò io quando andare. Ingurgitano tramezzini multipiano e Sprite ghiacciate, tutti chini sui telefoni. Vai. Vai vai vai. Lascialo andare. Plof, così.
Adesso scendi e cammina. Piano. Always walk, never run è da una canzone o sbaglio? Fai finta di aver mangiato passeggiando, tanto nessuno ti andrà a controllare la sacca per vedere che panini e banane si stanno surriscaldando nell’afa post-prandiale. Post-prandiale vuol dire dopo pranzo, o dopo mangiato in generale, pirla.
Passo e chiudo, stavolta l’hai fatta franca, ma non contare sui miei consigli nel caso ti rivenisse in mente un gioco simile. Chi sono e come ho fatto? Alla seconda non saprei come rispondere. Occhio alla mazza che ti fai saltare un’unghia. Tu non sai niente, digli che quando hai cominciato a mangiare c’era e quando sei tornato dalla passeggiata non c’era più.
Un poveraccio diseredato senzadio come la persona che più amavi non l’avrebbero cercato manco gli avvoltoi, se fosse rimasto a marcire in giro. Come, adesso non è la persona che più amavi? Suvvia, occhieggiare e scroccare il cibo altrui non è il peggior vizio sull’orbe terracqueo. Orbe terracqueo vuol dire Terra, pirla. Ti amava anche se era invasivo, autoritario, sempre a pianificare e darti ordini – che poi alla fine ti è risultato utile, no? Ecco, lo sapevo che ti facevi saltare un’unghia.
Alessandro Lucà (1993) è laureato in Lettere Moderne e Linguistica. Preferisce il divertimento alla scrittura, a meno che non coincidano. Ultimamente coincidono.
Ha pubblicato un racconto per La nuova carne.
Un racconto di Marco Pedrazzi
Numero di battute: 2467
È un giorno d’estate senza nuvole. Può capitare d’annoiarsi, specialmente nei giorni d’estate, ancor più se senza nuvole.
La ragazza corvina dice al ragazzo con la vespa «portami a fare un giro».
Il ragazzo con la vespa non è il ragazzo della ragazza corvina. Lui è seduto tra gli spettatori, al tavolino davanti al bar. La ragazza corvina lo vuole ferire. Si ignora il motivo, forse per rivalsa.
Il ragazzo con la vespa ubbidisce senza pensare e spinge la leva di accensione con una sgambata da oscar.
La ragazza corvina prende posto. Porta i jeans corti, la pelle delle cosce si appiccica alla sella.
Il ragazzo con la vespa ordina subito al motore di fare molti giri. Per più di un motivo, pensa sia importante enfatizzare la partenza.
La ragazza corvina si stringe al ragazzo con la vespa e appoggia la guancia sulla sua schiena. Il casco è un accessorio di là da venire.
La vespa ronza, le vibrazioni del motore passano alla scocca e da lì attraversano i corpi con microscopico moto ondoso. Ha percorso solo un paio di strade affollate di case e insegne spente, che la ragazza corvina fa segno al ragazzo con la vespa di fermarsi. È un posto tranquillo, un po’ in disparte ma non isolato.
«La ragazza corvina lo vuole ferire.»
Il ragazzo con la vespa non sa cosa pensare e ancora meno cosa dire.
La ragazza corvina decide di baciarlo prima che la situazione precipiti. Così, per provare. Trova che sia un bel bacio e si concede più tempo.
Il ragazzo con la vespa di tempo non ne ha, è impegnato a fare bella figura. Si accorge solo al distacco che è stato un bacio bello, molto bello, a dirla tutta. Cerca le parole adatte.
La ragazza corvina è più svelta e ne trova due: «Torniamo indietro».
La vespa porta la ragazza corvina e il ragazzo con la vespa al punto di partenza. Stavolta il motore fa pochi giri. La ragazza corvina tiene la testa alta e stringe solo lo stretto indispensabile il ragazzo con la vespa.
L’uomo senza vespa ha lasciato che molti giorni di molte estati gli scivolassero addosso.
La donna corvina ha fatto altrettanto.
Un respiro fa, l’uomo senza vespa ha capito dove portano quella sensazione di burro fuso e quel lievissimo profumo che forse non esiste e se esiste è indescrivibile. L’uomo senza vespa si chiede se anche la donna corvina, di quando in quando, ha una sensazione che porta nello stesso luogo: magari un tremolio impercettibile sulle cosce o lungo la schiena, chissà.
L’uomo senza vespa e la donna corvina non si sono mai incontrati. Se lo faranno, sarà di certo su una vespa.
Marco Pedrazzi (1968) è trapiantato a Vienna ormai da parecchi anni. È archeologo classico per formazione, mentre per vivere si occupa di informatica (e gli piace anche abbastanza). Ha trascorso il primo ventennio della sua esistenza a Reggio Emilia, dove gli è capitato di nascere. Unico vanto letterario: primo classificato al Premio Letterario “Accendi le parole” 2019, IV Edizione – Sezione haiku.
Un racconto di Elena R. Marino
Numero di battute: 2500
Noi siamo le sante ce lo ripetiamo ogni giorno fa parte della disciplina delle sante ripetersi ogni giorno ciò che dona disciplina e ci rende sante in quanto sante. Essere sante è impegnativo, per questo oltre che sante siamo quasi sempre stanche, anche questo ce lo ripetiamo ogni giorno perché fa parte della disciplina che ci permette di essere stanche in quanto stanche, e ci fa penetrare ancora più a fondo nel mistero di essere sante, molto sante ma anche molto stanche.
Noi abbiamo a cuore il cuore, noi facciamo ogni cosa con il cuore noi penetriamo nel nostro cuore e ci rimaniamo chiuse per intere giornate, mentre continuiamo a operare in quanto sante spandendo intorno a noi nettare di lacrimosa santità. Siamo affastellate in quadretti dorati, ci stiamo strette ma non fa niente: la santità che nutriamo in quanto sante è più forte della claustrofobia che tutte noi proviamo in ogni punto del nostro corpo.
Noi soffriamo di claustrofobia nei quadretti dorati che ci ritraggono e anche nel nostro corpo che sta dentro i quadretti dorati, e la disciplina alla quale siamo abituate a volte non basta per stare tutte insieme così strette dentro i quadretti dorati.
«Noi abbiamo
a cuore il cuore.»
Soffriamo di claustrofobia nel nostro corpo tutto intero e nel nostro corpo in parti, e talvolta siamo in parti e talvolta siamo intere, ma in ogni caso ci stiamo strette, dentro. Per disciplina stiamo dentro anche se vorremmo uscire, ma uscire dalle parti è complicato e uscire dall’intero è proibito. La claustrofobia delle nostre parti è santa, le nostre parti sono conosciute e sconosciute, sono vagina eppure non sono vagina, sono retto eppure non sono retto, sono iride eppure non sono iride, sono dito eppure non sono dito.
Sono parti che vorrebbero aprirsi, essere dentro eppure essere anche fuori, ma non possono, e soffrono, e noi siamo stanche, noi siamo sante ma siamo anche stanche, e vorremmo uscire a passeggiare, ma i quadretti dorati sono tutti chiusi, e noi in folla accalcate e accaldate ci incastriamo l’una nell’altra con la nostra aureola e cantiamo, un canto senza fine, e battiamo le mani a tempo, battiamo le mani le une contro le altre, e non sappiamo più di chi siano le mani, sono parti dell’intero e il nostro intero non siamo noi, perciò non sappiamo più di chi siano le mani.
Per disciplina ci ripetiamo che siamo sante, e per onestà ammettiamo che siamo stanche, e per stanchezza stiamo immobili nel quadretto, e per questa nostra immobilità ci hanno cosparso d’oro. Così tanto che sopportiamo tutto questo. Perché l’oro ha sigillato ogni fessura: il futuro non può più entrare.
Elena R. Marino lavora come drammaturga, regista e formatrice presso il Teatro Spazio 14 di Trento. Ha pubblicato articoli di argomento filologico e letterario sul mondo greco classico e sul teatro contemporaneo, e un volume sulla metrica delle Olimpiche di Pindaro. Suoi racconti sono apparsi su riviste letterarie on line (Verde, Pastrengo, Crapula, inutile, Neutopia, Clean, Risme, Fillide, Micorrize). Ha pubblicato il romanzo Passeggiata nella notte (Bookabook 2022).
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