Pastrengo Agenzia Letteraria

Monthly Archives: Marzo 2024


racconto nicolli francesco

sul pincio ci potrei tornare solo con te

Un racconto di Francesco Nicolli
Numero di battute: 2495

Mi hai lasciato perché abbiamo quarant’anni e non ti do più emozioni, ma solo affetto. Mi hai lasciato dopo che ho iniziato un secondo lavoro per poterci comprare un appartamento – vicino al centro, ma con un po’ di scoperto. Mi hai lasciato dopo avermi convinto ad avere un figlio anche se non volevo, ma che almeno non è venuto. Mi hai lasciato che ti avevo appena aiutato a comprare la macchina nuova – pago io i bocchettoni dell’aria, avevo scherzato, siamo una famiglia.

Mi hai lasciato e mi sento come durante un’immersione, nel momento in cui l’aria inizia a scarseggiare e il pelo dell’acqua sembra irraggiungibile.

«Mi hai lasciato perché abbiamo quarant’anni.»

Mi hai lasciato e quando guardo le vecchie foto non riesco a non sorridere – siamo stati ragazzi insieme, sei stata all’ospedale al mio fianco, sei stata nuda, al mio fianco –, ed è sempre un po’ come fossi qui con me.

Mi hai lasciato e nonostante siano passati più di dieci anni dalla prima volta, pensare a te ancora mi fa venir voglia di partire, raggiungerti, e stringerti in un abbraccio che conduce dritto al letto.

Mi hai lasciato e ho trovato un’altra. L’ho trovata perché sto invecchiando, e perché la mia famiglia ci rimane male, se resto solo.

Io ci rimango male, se resto solo.

Con la nuova sto correndo, più veloce del dolore, più veloce della tua assenza.

Siamo andati a vivere assieme. Parcheggia l’auto nel tuo posteggio e stende i panni nel tuo scoperto. Le ho regalato un vestito che ho comprato nel negozio che ti piaceva tanto, quello nella strada tra casa e l’ufficio. L’ho portata a Firenze a vedere Giotto, a mangiare la schiacciata di Scheggi e a prendere il sole nella piscina accanto allo stadio, dove mi hai insegnato a respirare tra una bracciata e l’altra e io non l’ho mai imparato. E quanto eri buffa con quei panini pieni di salsa – ti ci sporcavi fino alle guance, come una bimba.

L’ho persino portata a passeggio nel sottomura, dove andavamo ogni sabato a lamentarci di una società in cui non sembrava esserci spazio per noi due. E siamo anche stati in Inghilterra, a mangiare gli scones e a bere una birra nel pub vicino al fiume di cui non ricordavo mai il nome. Certo lei è astemia, tu invece con in mano una birretta scura come i tuoi capelli eri proprio carina.

E ora che siamo a Roma, l’ho portata a cena a Testaccio, in tutti quei ristorantini che ci ha consigliato la tua capa. Ma sul Pincio – se siete innamorati, andateci l’ultimo giorno al tramonto, ci aveva detto – sul Pincio non siamo stati.

Sul Pincio ci potrei tornare solo con te.

nicolli francesco bio

Francesco Nicolli è nato a Ferrara nel 1981. Di mestiere scrive di ambiente ed economia e insegna all’università. Nel tempo libero ascolta musica e accumula libri, sognando il giorno in cui avrà tempo per leggerli tutti.

Valentina Schiavo racconto

il naso di san basilio

Un racconto di Valentina Schiavo
Numero di battute: 2010

«Ha bisogno d’aiuto, signora?»
«Macché aiuto, ho bisogno di un miracolo!»
«Allora è nel posto giusto, signora. Che tipo di miracolo cerca?»

«Speriamo. La mia casa è maledetta! Mio marito è morto il maggio scorso cadendo dalla scala, stava sistemando il roseto. Poi tutte le piante sono morte. Anche quelle nuove, le compro, le porto a casa, e muoiono. Si seccano se le lascio in vaso, le pianto in terra e marciscono. La casa è maledetta, tutto è maledetto.»

«Signora, non disperi, ho quello che fa per lei. Si vede che suo marito è un po’ risentito di essere morto per colpa di un roseto, e adesso si sta vendicando con le sue piante. Che Dio l’abbia in gloria! Le serve il Naso di San Basilio.»

«Che tipo di miracolo cerca?»

«Il Naso di San Basilio…?»
«Certo, signora, il Naso di San Basilio. È proprio questo in bacheca, lo vede?»
«Questo qui è un naso?»
«Sì, guardi bene, è appiattito per conservarlo tra i vetrini. I due fori al centro sono le narici, vede?»
«Ah, sììì.»

«È molto antico, ha più di cinquecentomila anni. Direttamente da Gerusalemme, l’hanno tramandato di famiglia sacra in famiglia santa, fino a Roma. Lì i vescovi l’hanno messo in salamoia con le olive, per preservare il rosa della pelle. Vede com’è pulito?»

«È purificato.»
«Esatto, purificato. Poi, da Roma, i frati lo hanno portato nel convento qui, sopra al colle. L’hanno tolto dalla salamoia, appiattito con una vanga, e messo a conservare tra questi due vetrini.»

«Che ingegnosi questi frati.»
«I frati sanno il fatto loro, signora. Purtroppo, il loro convento è andato a fuoco qualche hanno fa, raso al suolo, tutti i frati scomparsi, scom‑par‑si!»
«Tutti bruciati?»
«No, signora, no. Si sono vaporizzati in Spirito Santo. E il Naso di San Basilio intatto, salvato dai vetrini.»

«In nome del padre e del figlio, amen.»
«Il Signore sia con noi! Le assicuro, signora, che questo naso convincerà suo marito a lasciare in pace le piante, e le dirò di più. Anche suo marito si santificherà.»
«Oh, Santa Maria! Fulvio santo! Aspettami Fulvio, ti porto il Naso di San Basilio stasera!»

valentina schiavo bio

Valentina Schiavo è nata a Padova, ha vissuto tra Svezia e Inghilterra per qualche anno, per poi stabilirsi in territorio dolomitico. Lavora in comunicazione.

consonni andrea racconto 2

maionese

Un racconto di Andrea Consonni
Numero di battute: 2477

In cinque e minuti e quarantasei quante sigarette posso fumare? Quanti baci posso darti? Quante tartine con maionese, prosciutto crudo e gamberetti posso preparare? Cinque minuti e quarantasei.

Facevi partire la canzone e cominciavi a tempestarmi di domande. Alle cave di granito. Per telefono. Sul treno. Tornando da scuola. Con le cuffie. Con lo stereo acceso. Io chiudevo gli occhi e mi muovevo come se fossi Billy Corgan. A piedi nudi sulla moquette studiando il modo per portarti via da quel paesino del cazzo. Centomila sacchetti di patatine ci stanno nella tua stanza e se poi svuotiamo la stanza li ritroviamo tutti i tuoi libri? Te le sentivo gridare dal piano di sopra le domande.

Mi scrivevi lettere di dieci pagine con elenchi di cose che avremmo dovuto fare a tutti i costi prima di morire: andare a Londra, intervistare Isaac Asimov, scrivere la sceneggiatura per una telenovela ambientata nel nostro palazzo, addomesticare un pipistrello, aprire una colonia di ricci, incendiare la fabbrica dove lavoravano le nostre madri.

«Te le sentivo gridare dal piano di sopra le domande.»

Mi facevi trovare nello zaino test psicologici con domande a cui venivano assegnati un certo tipo di punteggi. Dovevo consegnarti le risposte il giorno stesso e tu mi avresti fatto trovare nella cassetta della posta il mio profilo.

Dal tuo balcone facevi penzolare un filo di lana con attaccata la cassetta di Siamese Dream e un biglietto con scritto che mi avresti amato per sempre.

Poi sei sparita.

Una notte la tua famiglia ha preso le sue cose, le ha caricate sul Ducato di tuo padre e addio. Sono passati trent’anni da allora. Quest’anno compiamo quarantacinque anni. Io il 6 giugno e tu il 12 agosto. Ho la faccia gonfia e non riesco a smettere di bere ma trascorro ancora giorni interi ad ascoltare quell’album e a rispondere ai test che mi spedisci per posta.

Prima domanda di quest’anno: se ti trovassi di fronte a mio fratello cosa faresti? a) lo uccideresti; b) gli spalmeresti il culo di salsa guacamole e lo abbandoneresti nudo in un campo vicino alla statale; c) gli parleresti del riccio che si chiamava Isacco.

Quarantaquattresima domanda: tema libero.
Compilo tutto.
L’indirizzo della tua casella postale cambia ogni anno.

L’ultima domanda che mi rivolgesti prima di sparire fu: secondo te quanto ci mettiamo a cavallo per raggiungere Venezia? Io, te e due puledri. Un giorno saprai rispondermi.

Poi sì, ti ho risposto, l’anno scorso, e la pistola per rapinare una banca l’ho comprata.

Non l’ho mai usata.
In attesa del tuo ritorno.

Consonni Andrea bio

Andrea Consonni (1979) lavora come addetto alle pulizie e preparazione popcorn in un cinema multisala di Lugano.