Un racconto di Eleonora Falleni
Numero di battute: 2470
Appuntamento alle due del pomeriggio alla fabbrica sdentata, con le finestre rotte, dove ha lavorato anche mio padre. Siamo sempre le stesse, ci conosciamo dai tempi delle elementari quando indossavamo il grembiule bianco, pulito come i nostri bei faccini. Oggi, finita la terza liceo, abbiamo il viso imbrattato di nero, neppure le mutande sono bianche, come se le nostre giornate (vite) finissero dentro quell’edificio morto, tra sigarette e bottiglie di vodka fatte comprare da amici maggiorenni.
I minuti scorrono lenti, passa un gabbiano nel cielo, oscura il sole, appoggiata con la schiena al muro avverto un brivido, vedo la bottiglia completamente svuotata, il liquido galleggia negli occhi di Nina, Marta e Viola. Vorrei alzarmi, andarmene, mi tocco la fronte umida, sto per salutare le amiche quando percepisco un movimento, l’unico in quell’aria stagnante. Vedo Tommaso, il fratello più piccolo di Davide, avrà dieci anni, il suo viso è ancora senza ombre.
«Appuntamento alle due del pomeriggio alla fabbrica sdentata.»
Le altre seguono il mio sguardo, cerco di distoglierlo ma ormai lo hanno visto, sembrano belve in attesa di braccare la preda, il puzzo del sudore si mescola a quello della vodka, troppo caldo, la fabbrica mi risucchia, mi perdo, cado a terra. Dove sono? Apro gli occhi e vedo Nina, Marta e Viola disposte in cerchio, avranno trovato un piccione quasi morto o qualche altro animale da seviziare, tanto per passare il tempo e arrivare a sera. Dal cerchio sbuca un paio di scarpe, sono di Tommaso, è steso a terra, frigna e la sua voce esce come un pigolio. I suoi vestiti sono buttati più in là.
Scatto in piedi troppo in fretta, barcollo, devo vedere cosa sta succedendo. Ricordo quando in cortile i figli del vicino catturavano le lucertole e con un coltellino tagliavano via la coda, oppure la spezzavano a mani nude. Le povere bestie una volta libere scappavano mutilate e quel pezzo di loro continuava a muoversi nella polvere. Io stavo a guardare immobile senza dire una parola, per paura di fare la stessa fine.
Mi avvicino a Tommaso e lo raccolgo, il bimbo ha il viso bagnato e sporco di terra. Percorro con lo sguardo il corpo innocente, controllo che nessun pezzo sia stato amputato. Nina, Marta e Viola mi osservano, come a dirmi: anche tu sei una belva, hai respirato il marcio di questa fabbrica. Tommaso se ne va via correndo, i vestiti abbandonati lì, come la coda della lucertola. Sono tornata bambina, a quando rimasta sola raccoglievo i resti e li seppellivo nelle aiuole del cortile.
Eleonora Falleni è nata nel 1977 a Livorno, dove vive e lavora. Nel tempo libero ama leggere e scrivere. Al premio Vespa chi scrive 2023 si è classificata quarta con il racconto Come rondini. La sua prima raccolta di racconti è Sofia, trama e nodi (Valigie Rosse).
Un racconto di Andrea Tani
Numero di battute: 2444
La signora del banco è stata gentile, mi ha consigliato il neonato più fresco, quello che secondo lei darà più sapore allo stufato. È un bel pezzo di carne di quattro chili e tre, col cordone gonfio e una piccola protuberanza sul collo. I vagiti sono squillanti e il sangue placentare gli cola sullo sterno. Con le mani unte di frattaglie, la donna me lo avvolge nella carta gialla, quella delle frittelle.
Una volta a casa lo stipo nel frigo e mi tolgo le scarpe. «Sta bene, signore?» sento nell’aria, ma sono gli spifferi della finestra. Sul pavimento un cordone molliccio pulsa senza più la membrana. Si trascina fino in salotto e si avvinghia alla trachea di un bambino di circa quattro anni che prima non c’era. Le sue braccia provano a liberarsi da una morsa che gli lascia la nuca viola.
«È un bel pezzo
di carne
di quattro chili
e tre.
Mi riempio un calice di Sangiovese, mi siedo e lo guardo contorcersi tra i riflessi del vetro. Il suo corpo si squarcia, poi diventa plastico. Si allungano gli arti, la colonna vertebrale, si espande il torace. Ora ho davanti un adolescente incurvato con la pelle bianca e sottile, gli occhi scavati e i capelli come strappati dal cranio. Mugugna scomposto con la testa in un cappio di budella. Prova a salvarsi, ma l’alluce tocca appena la sedia. Mi avvicino e la scalcio via. Rimane sospeso sull’osso del collo, poi si accorge di me. La sua bocca è un grumo di bava.
Non ho il tempo di capire l’orrido che mi circonda. Una mano adulta mi trascina via. È un uomo senza muscoli né postura, avvinghiato a ciò che resta di viscere ormai imputridite. Mi porta a una finestra e la spalanca. L’altezza è spaventosa, non ha fondo né prospettiva. Mi dice: «Buttati con me, finiamola qua». Nei suoi occhi non vedo la morte, solo uno stato di coscienza profondo e familiare.
Sto per saltare, ma dalla porta di casa entra la signora del mercato, apre il frigorifero e tira fuori il neonato. Lo sfila dalla carta gialla, gli cava il bitorzolo marcio dal collo e lo posa sulla bilancia: «Quattro chili e due, va bene?». Di colpo i miei occhi ritornano al loro posto e di fronte ho di nuovo il banco della verdura, accanto a quello della carne.
L’aria mattutina del molo si riempie di tendoni e colazioni all’aperto. Sto per diventare padre e a casa non si parla d’altro, ormai. La signora ripone la zucca nella cassetta e dice: «Tutto a posto? Le dicevo che questa è ammaccata, se vuole gliene do un’altra», e io: «Non fa niente, signora. Mi è passata la fame».
Andrea Tani nasce nel 1974 a Grosseto. Dal 2020 si dedica alla narrativa e pubblica i suoi racconti su diverse riviste, tra cui Open Doors Review, Yanez Magazine, «inutile», Bomarscé, Eterna e Risme. È tra i finalisti del Premio InediTO nelle edizioni 2023 e 2024 ricevendo in quest’ultima una Menzione speciale con La consistenza del sangue. Sempre nel 2024 pubblica sulla rivista L’Appeso e Narrandom. Ama scrivere nei cambi di stagione.
Commenti recenti