Pastrengo Agenzia Letteraria

Monthly Archives: Ottobre 2024


Pasquale Innato

il taglio

Un racconto di Pasquale Innato
Numero di battute: 2490

Stavo fissando la viva pelle umida del mio ginocchio appena sbucciato, quando mio padre mi ha preso per un braccio, ha spazzolato via la polvere grigia con le mani dalle mie gambe e mi ha portato dal barbiere. A quella età avevo una bella chioma ricciolina.

In piedi davanti allo specchio, la testa all’altezza della spalliera della poltrona girevole, ammiravo i capelli disordinati eppure così esatti. Dopo qualche istante, però, mi ha assalito un timore, uno spavento quasi, appena mi sono reso conto che in una manciata di minuti avrei perso quella stessa chioma in favore di un taglio più serio, più garbato, infine, più liscio. Mi sono voltato di scatto verso mio padre che si era seduto dietro di me e mi stava osservando da diversi minuti, forse un secolo.

«Be’, hai deciso come li vuoi?»

Ho scosso la testa; non li volevo in nessun modo. Si è alzato, lo vedevo riflesso nello specchio, è venuto dietro di me ed ha appoggiato le labbra alla mia tempia.

«Fatti fare un bel taglio fresco!»

«Be’, hai deciso come li vuoi?»

Quell’aggettivo mi ha perseguitato per anni, dopo quella prima volta. Un taglio fresco, cosa vuol dire un taglio fresco? Credo di aver sempre saputo, pur senza dichiararlo esplicitamente, che mio padre volesse esprimere l’esigenza di un taglio sufficientemente corto da poter consentire il passaggio di un’aria di condizionamento capace di abbassare la temperatura della mia testa persino sotto il sole di luglio. Da quella volta in poi, in qualsiasi posto fossi e qualsiasi età avessi, mio padre non ha mai smesso di chiedermi, dopo l’appuntamento dal barbiere, se il taglio che avevo deciso fosse effettivamente un taglio fresco. Possibile però solo tra maggio e agosto: al di fuori di questa quaterna soleggiata, il taglio di capelli, semplicemente, non esisteva.

Ha accarezzato una ciocca che aveva preso tra le dita ed era tornato a sedersi. Il barbiere quindi mi ha esortato ad accomodarmi, come un signorotto locale a cui i servigi cominciavano a essere dovuti e mi ha avvolto nel telo; poi risollecitava la domanda.

«Come li facciamo?»

Con la coda dell’occhio, allo specchio, ho tentato di nuovo di rivolgermi a mio padre, che però aveva già raccolto un rotocalco dal tavolino e aveva cominciato a sfogliarlo. Allora accigliato, sono tornato con gli occhi al barbiere, ed esitante gli ho meccanicamente detto:

«Un taglio fresco?»

Non so se è perché papà aveva sentito, o se sulla rivista che leggeva aveva trovato qualcosa di buffo, ma in quel momento un cenno di sorriso è comparso sul suo volto.

innato pasquale bio

Pasquale Innato è nato a Taranto nel 1991. Vive e lavora a Milano e appena possibile, scrive. Nel 2016 ha ricevuto il Premio Estense Digital. Ama Gadda perché era ingegnere (come lui) e scrittore (come vorrebbe essere); critica tutto e tutti.

racconto Ilaria Padovan

carte da macello

Un racconto di Ilaria Padovan
Numero di battute: 2472

Càpita, di non riuscire ad ammazzarsi subito càpita. Càpita ti spieghino che nella modalità che avevi scelto tu non ci saresti mai riuscito: ed è un dispiacere un po’ diverso. E tu sei sporco, perché ci hai provato veramente. E tu, soprattutto, ti vergogni.

Alla fine, la vita è una cosa passeggera. È che a me non passa.

Penso a tutte le mostre a cui non sono stato, a tutte le esperienze che non ho esperito – esantemi su pagine di agende virtuali e indistruttibili – a tutti i dovresti andarci, anzi vacci, assolutamente vacci a cui, poi, non sono andato nonostante l’inappuntabile, perenne terrore di cartapesta di rimanere escluso dagli eventi esclusivi a cui, però, io ero stato invitato – la meraviglia, come la pazienza, si esaurisce con l’uso: noi volevamo essere sacri, invece ci siamo consumati e rimasti soli.

Penso che sarebbe meglio continuare a non capire niente, come tutti i figli degli anni Novanta, la paura fa novanta, la Novanta fa paura, penso alle cose che si dicono sempre, sempre uguali, sempre le stesse, penso al tormento della ripetizione, al sollievo di un definitivo che non arriverà mai, penso che mi viene da vomitare.

«Vomito:
un gatto.»

Vomito:
un gatto.
(Mi piacevano, i gatti, ora
mi fanno un poco schifo.)

Vomito sul gatto vomitato.
Mi si rivolta la faccia quando so che sarebbe meglio dire volto ma sono brutto, atroce, un mostro e allora dico faccia, quella su cui scivolano gli occhi espulsi dalle loro orbite a spinte, impulsi, conati, scivolano sul gatto anche loro, mi bruciano le guance, le scavano – acidi: tossico, siamo tutti tossici in questa relazione – alla fine le cicatrici sono solo tatuaggi in negativo, mi decorano quel che resta del viso.

Niente,
non esce più
niente: vorrei uscire io. Esce
il gatto, bello vivo e bello sporco:
fa miao.

Devo alzarmi, pulirmi, dar da mangiare a un gatto che prima non avevo. Triste, sono triste come gli elefanti. Sono – siamo – carta macellata, che cosa vuoi, tu, da noi?

Mi rispondono i pesciolini d’argento che vivono nei muri di casa mia, eccoli.

Il gatto è contento solo se gli do da mangiare, ma se provo ad accarezzarlo scappa. I pesciolini splendenti che di notte escono dalle crepe della doccia, loro sì mi vengono a cercare.

Mi siedo a terra, li guardo pianopiano
arrivare, alluvionare il pavimento: non più mattonelle senza calore,
ma acciughine spinose e
vive e
veloci e
voraci.

Si chiamano pesciolini
d’argento
ma se apri l’acqua affogano.

Beati loro.

racconto ilaria padovan

Ilaria Padovan nasce a Pavia nel 1990 e lavora in consulenza a Milano. Suoi racconti sono comparsi su «Topsy Kretts», «Crunched», «Risme», «Turchese», «Grado Zero», «Yanez». Collabora con Treccani, il Tascabile, The Vision e Limina.

valente racconto

il quartieraccio

Un racconto di Francesco Valente
Numero di battute: 2456

De notte ar Quadraro, ’ndo li regazzini aspettavano er tramme che passava a Cecafumo, viveva n’vecchio falegname de Trastevere; c’aveva piantato casa ar vecchio quartieraccio, da vent’anni, ma a tutti raccontava d’essece nato lì, tra li palazzoni e le baracchette. Se diceva che s’era magnato li sordi de famiglia, pe pijasse tutta la legna che accatastava dietro ar negozietto e che pe imparasse er mestiere s’era giocato l’anima cor diavolo; eppure li cassetti e le sedie che venneva se rumpevano dopo du’ botte e ’na caduta.

Da mesi aveva deciso de’ chiude baracca e de’ morì in pace: ’na sera ar bare de Nanduccio s’era ’ito così ’mbriaco che pareva er Cristo che portava la croce, mentre urlava cor sangue tra li denti: «Io me moro da solo! E poi sì che sto bene, tra li vermi e ’er fango!» e fu l’urtima vorta che se fece vedere tra li vivi.

«Io me moro
da solo!»

Pe du mesi ’nse ruppe na sedia ne n’cassetto a Cecafumo e la povera gente se iniziò a preoccupà pe’ ’r vecchio, che la domenica mattina s’accostava alla fermata del tramme e se cantava tutta la discografia che je pijava de cantà, aspettando er riccetto(che riccetto da cinquant’anni n’era più) che je portava le Marlboro, puntuale come n’orologio svizzero, alle undici e tre quarti.

Er falegname nun c’annava in chiesa, era uno di quelli che de li santi e le madonne fregava meno di niente, se vedeva che era cresciuto a carci in culo e senza ’na madre. A le volte er sabato sera se vedeva torna co ’na donna tutta acchitata e grassoccia co’ la metà de li anni sua e fino all’appuntamento cor riccetto er falegname stava co’ questa dentro er negozietto; s’era sparsa la fama der falegname mignottaro a Cecafumo, e chi gliela levava più. Ma poi la luccioletta n’s’era più vista ar quartieraccio, da quanno er vecchio s’era inteso de schiattà.

E pure il riccetto alla fine, dall’alto dei suoi sessantaecinque anni aveva capito che qualcosa nun stava da annà ner verso giusto. Deciso a risolve’ er mistero, se diresse n’venerdì mattina ar negozietto spento. Dovette aspettà er tempo de fumasse tre sigarette prima che er sor amico suo aprisse la porta, tutto n’gobbito e co’ ’na faccia che te diceva “famme morì”. Dopo du minuti da quando questo s’era accomodato, glie venne n’colpo al padrone de casa, anche se pareva se fosse abbioccato, tutto qui.

Passò ’na primavera, e der falegname già s’erano scordati tutti, da quando era arrivato er grattacheccaro, il nuovo mignottaro del quartiere. Roma non cambia mai.

valente francesco bio

Francesco Valente è nato a Latina nel 2002, attualmente si sta laureando in Economia e Finanza. Scrive poesie e scritti in prosa da quando ne ha memoria. Ama la cultura giapponese, spera un giorno di andare a vivere a Tokyo. Nel mentre, passa il tempo a leggere Yukio Mishima.

silvia
cannarsa

Silvia Cannarsa (1991) è nata e vive a Torino. Diplomata alla Scuola Holden, ha lavorato per cinque anni nell’ufficio didattico - organizzando eventi, pianificando lezioni - per poi diventare freelance del mondo culturale.

È stata Content Specialist di «ilLibraio.it», e scrive (e ha scritto) per alcune pubblicazioni online (Gedi Visual, «la Repubblica», «ilLibraio.it», «Giovani Genitori», «Tropismi», «Playboy» ecc). Organizza eventi culturali a Torino, passeggiate letterarie e presentazioni. Attualmente è la Copywriter dell’agenzia di comunicazione To Be Events.

michele
vaccari

Nato a Genova nel 1980, Michele Vaccari si occupa di editoria, cinema, rap e comunicazione dal 1996.

Nel 1998 è stato uno degli anti editori della Fabbrica Globale dell’antilibro ideata da Piero Dorfles e Edoardo Sanguineti. Nel 2000 ha scritto il primo gioco via SMS della Wind per Mediaset che ha aperto la strada alle varie app di messaggistica chat relazionali di inizio millennio, simulando i botta e risposta delle intelligenze artificiali di oggi. Nel 2001 ha creato il sito ufficiale e la prima fan community di Niccolò Ammaniti. Nel 2004, si è laureato al DAMS e al master biennale in Teorie e tecniche della narrazione della Scuola Holden.

È stato consulente tecnico per il Dizionario storico dei linguaggi giovanili (UTET 2004), ha scritto per riviste specializzate di musica e costume («Vogue», «Rocksound», «Groove»), ha pubblicato racconti («Effe», «Nuovi Argomenti», «K - la rivista dell'Inkiesta»), ha collaborato come script consultant per la Todos Y contentos di Andrea Patierno.

Ha lavorato per varie realtà editoriali (direttore editoriale di Transeuropa, consulente editoriale per Rizzoli, Mattioli 1885), agenzie letterarie (The Italian Literary Agency, Kalama, Berla&Griffini). Dal 2006 al 2008, in collaborazione con Legambiente, ha coordinato la prima collana di narrativa a tematica ambientale partendo dalle storie del Rapporto Ecomafia. Dal 2015 al 2019 è stato il copywriter italiano delle campagne marketing e virali di Comedy Central e Paramount Channel (Finalista Premio Promax South Europe – Africa 2018).

Nel 2018 ha ideato e diretto la collana di romanzi d’anticipazione Altrove per Chiarelettere. Nel 2019 ha supervisionato la scrittura del progetto fiction e documentario Making of Love per portare l’educazione sessuale nelle scuole uscito su Sky e diventato un libro per Fabbri.

Ha insegnato Editing presso Scuola Mohole, Scuola Macondo, Scuola Carver. È stato editor tutor per Belleville. Attualmente, insegna Scrittura di genere e tecniche narrative per Scuola Holden. Nel 2022 ha fondato Crudo, studio editoriale che prova a portare il concetto di impresa etica nel mondo dei libri.

Come autore, ha pubblicato Italian Fiction (ISBN, 2007), Giovani nazisti e disoccupati (Castelvecchi, 2010), Delia Murena (Ad est dell’equatore, 2010), L’onnipotente (Laurana, 2011), Il tuo nemico (Frassinelli, 2017), Un marito (Rizzoli, 2018), Urla sempre, primavera (NNE, 2021), Buio padre (Marsilio, 2023).

flavia di mauro racconto

una cartolina da waco

Un racconto di Flavia Di Mauro
Numero di battute: 1969

20 maggio 1916

Caro A.,

Come ti avevo promesso, ecco un breve resoconto di quanto accaduto lunedì scorso. È successo nella piazza della foto, sotto l’albero di cotone. Il sindaco Dollins ha addirittura voluto un fotografo. Non avevo mai visto una folla così.

Washington è arrivato alla corte alle 10.30. Il processo è stato breve e il verdetto unanime, come ci aspettavamo. Alla fine se l’è preso la folla, e giustamente non ci sono state interferenze. Un uomo biondissimo gli ha gettato una catena al collo. W. gli ha morso un braccio, ma qualcuno l’ha colpito e grazie a Dio non è riuscito a liberarsi. Hanno continuato fino alla piazza, con delle bottiglie e delle mazze. Arrivati all’albero di cotone W. era coperto di sangue.

«W. era coperto
di sangue.»

È stato il biondo a guidare le operazioni. Noi urlavamo di gioia. W. è stato spogliato e ci siamo accorti di quant’era giovane (può un mostro così avere diciassette anni?). Poi il biondo ha versato l’olio e issato in alto catena, e due dei miei parrocchiani hanno fatto tutto il resto. Gli hanno reciso il pene. Poi le dita. Hanno accesso il fuoco, e W. con le dita mozzate ha provato a salire sull’albero mentre noi ridevamo. C’era un odore infernale, A., un odore di barbecue da darti l’acquolina. Io stavo per vomitare, ma poi ho pensato al dolore di Fryer e sono tornato in me: ho applaudito con gli altri. Il rogo si è spento due ore dopo. Il biondo allora si è messo a urlare: W. non ha cambiato colore, gridava, era già di carbone. Noi annuivamo. Era chiaro che il fuoco fosse il suo destino, ma perché sono sempre loro a commettere questi crimini?

Comunque, A., sono certo che fosse la cosa giusta: il messaggio è arrivato forte e chiaro. Mai più nessuno toccherà le donne di questa città, mai un altro negro. Però ora abbiamo un problemino con l’odore. Non va via neanche con la pioggia, non la smettiamo di vomitare. Crediamo che qualcosa bruci ancora. Ma che cosa? E come spegnerlo? Ti terrò aggiornato.

Saluti da Waco,

Tuo fratello

Flavia - Portrait

Flavia Di Mauro è nata a Napoli nel 1994. I suoi racconti sono apparsi in Sotto il Vulcano e Word for Word. È stata coautrice per La Stampa del podcast “Vlora, la nave che sfondò il muro”. Vive e scrive a Torino.

racconto lorenzo bianchi

interinale

Un racconto di Lorenzo Bianchi
Numero di battute: 2469

Bene, direi che è tutto. Mi sbilancio: l’esito del colloquio è positivo.
La ringrazio, ne sono lieto.
Siamo pronti a inserirla nell’organigramma aziendale.
Benissimo. Non vedo l’ora di iniziare.
Si capisce. Comunque, fanno novemilasettecentotrentotto euro.
Come scusi?
Più una marca da bollo da sedici euro.

Eh?
Per la registrazione del contratto, si capisce.
Non sto capendo.
Il costo del corso di formazione che dovrà sostenere, è chiaro.
Ma… chiedo scusa, sull’annuncio dell’agenzia interinale non era menzionato niente di tutto questo.
Non badi alle formule, sa bene che gli annunci sono convenzioni. L’obbligo di formazione è insito nell’offerta proposta a tutti i candidati che selezioniamo. È ovvio.

Scusi, non è ovvio per niente.
E perché no?
Devo pagare di tasca mia per lavorare? È assurdo.
Lei paga per il corso di formazione, non per lavorare.
Mi pare che abbiate delle idee un po’ confuse.
Non c’è alcun bisogno di insultare.
Messa così sembra proprio una truffa, ecco.
Ma che dice. Non sia mai.
Pare proprio così invece.

«I dati parlano chiaro.
Vede queste tabelle?»

Lasci che le dica: la nostra percentuale di occupati al termine del periodo di formazione si attesta al 91,4%.
Addirittura?
I dati parlano chiaro. Vede queste tabelle?
Sì.
Cosa c’è scritto qui?
Percentuale di occupati al termine del periodo di formazione pari al 91,4. Questo è solo un grafico su una tabella.
Lei mette in discussione l’etica della nostra Azienda. Lo sa che operiamo sul mercato da trentacinque anni e con risultati incontrovertibilmente eccellenti? Guardi, cosa c’è scritto qui?
Risultati incontrovertibilmente eccellenti.
Ecco.

Ho capito. Che perdita di tempo. La saluto.
In che senso?
Nel senso che me ne vado.
Non credo sia possibile.
Sta scherzando?
Le sembra che stia scherzando?
È assurdo.

Non lo è. Si rimetta seduto, per cortesia.
Perché la porta non si apre?
Si rimetta seduto.
Voglio uscire di qui.
Non credo sia possibile.
Ma è matto?
Le ricordo che ha sostenuto il colloquio.
E quindi? Non ho firmato niente.
Ha risposto all’annuncio. Ha sostenuto il colloquio.
Ma non ho firmato nulla!

Non ha capito? L’esito del colloquio è positivo. La inseriremo nell’organigramma aziendale.
Chiamo la polizia.
Non credo sia possibile. Lei ha sostenuto il colloquio.
Aiuto!
Non urli, per cortesia. È contro il regolamento aziendale.
Mi sento male.
Tolga le mani dalla scrivania. E smetta di sudare. È contro il regolamento.
Mi manca l’aria. Ci vedo doppio.

Lei è nostro.

Si svegli. Non può dormire sul luogo di lavoro.

Si svegli.

Deve iniziare la formazione.

Lei è nostro.

bianchi lorenzo

Lorenzo Bianchi è cresciuto a Livorno e vive a Bologna. Ha studiato filosofia e insegna alle superiori. Collabora con la Scuola Carver come editor e docente di scrittura creativa. Ha collaborato con Valigie Rosse in qualità di editor. Ha pubblicato articoli e racconti su Passaporto Nansen, la nuova carne, Ilcorsaronero. Ha ideato e coordina Rivista Waste. Nel 2022 ha pubblicato per Zona42 la novella Pellegrino è l’universo.