Pastrengo Agenzia Letteraria

Monthly Archives: Gennaio 2025


Elisa Secchi Villa racconto

bianco, blu

Un racconto di Elisa Secchi Villa
Numero di battute: 1975

Un anno, mia cognata mi regalò una macchina per fare il pane. Diceva che lei non la usava più, ma che era di una buona marca. Era uno scatolotto bianco latte, con un oblò per inserire gli ingredienti e guardarli diventare una grossa palla roteante, che poi tremava e faceva bipbip quando tutto era finito.

Feci con le bambine vari tentativi. All’inizio erano incuriosite da quei nuovi esperimenti, si divertivano e iniziarono a credere nel nostro futuro autarchico, finché ci rendemmo conto che non avremmo mai ottenuto una crosta di spessore inferiore ai quattro centimetri.

Il sapore di quel pane tutto crosta, che sembrava essersi cotto nella lavastoviglie, è tutt’uno con i ricordi di quel periodo. La sera, col sottofondo ronzante dell’impastatrice Moby Dick, facevo qualche telefonata. Di amici ne restavano pochi: coetanei, vivevano un’età più giovane della mia. Sentivo, a volte, un’anziana conoscente della mamma.

«Coetanei, vivevano un’età più giovane della mia.»

Un pomeriggio andammo a trovarla. La villa di campagna rimbombava dei nostri passi, rivelando piccoli affreschi e cimeli. Chiacchierammo di un telaio industriale per un tempo abbastanza lungo da esasperare le mie figlie, zittite con caramelle di marmo. La signora non dava quasi attenzione alle bambine: aveva un grande desiderio di parlare con me, di raccontare ma anche di ascoltare qualcosa di nuovo. Alla fine, vinta dalla sua insistenza, caricai in macchina due vecchi comodini ad angolo, che, assicurava, sarebbero stati perfetti in casa nostra.

Le parole e le immagini scambiate con lei diedero senso ad alcune giornate. Poi smisi di sentirla, seppi che era morta solo mesi dopo che aveva preso posto nella cappella in fondo al cortile, per sua richiesta di totale silenzio.

A casa, la sera delle angoliere, trovai in uno dei mobili scatole cilindriche di cartone indurito, che contenevano colore in polvere. Quel blu profondissimo mi emozionò. Lo diluii a sentimento e tracciai meravigliata dei decori sul legno, provando a raccontare una storia.

Elisa Secchi Villa

Elisa Secchi Villa è nata a Brescia nel 1994. Laureata in Giurisprudenza, lavora come consulente in ambito di compliance aziendale. Ha scritto di contenzione in ambito psichiatrico e sanitario. Tutti i romanzi che vorrebbe fare la perseguitano.

Andrea Scagliarini racconto

l’ assicuratore

Un racconto di Andrea Scagliarini
Numero di battute: 2500

Nel giugno del 1913, l’assicuratore boemo Josef K. giunse a Torino forse affascinato dalla fama sinistra della città. La sera del 16, camminando sotto le arcate di piazza Vittorio Emanuele I, già place Imperial, incrociò lo sguardo luciferino di un uomo anziano che incedeva appoggiandosi a un bastone da passeggio con l’impugnatura d’avorio. Il diavolo non amava frequentare le vie affollate, disprezzava i carrettieri, le erbaiole, i turisti, i mendicanti, gli skater e i venditori abusivi. Odiava gli esseri umani e preferiva agire di notte come un artista maledetto.

Ma cosa avrebbe notato quell’anziano signore nell’osservare un uomo magro come un digiunatore, la schiena curva, abbigliato da forestiero che si guardava intorno, smarrito come un fantasma? Cosa avrebbe ricavato Josef K. dalla conoscenza diretta di quell’affabulatore solitario, affaticato dagli anni che odorava di acqua di colonia per nascondere l’afrore dolciastro del suo corpo? Entrambi preferirono ignorarsi e proseguire sotto i portici, senza meta.

«Il diavolo non amava frequentare le vie affollate.»

Le giornate diventavano sempre più calde. Le fontane si seccavano o scaricavano acqua putrida e rugginosa. Ma Torino non era la città dei miracoli benché un tempo abitata da uomini santi come don Giuseppe Cafasso, presbitero della forca e grande benefattore.

In una lettera del 21 giugno a Felice Bauer, l’assicuratore racconta di trovare la città piacevole soprattutto di mattina presto. Piena di scorci, belle vedute e abbaiare di cani. I colombi, le cornacchie e altri volatili dal becco nero sono dappertutto, sotto i portici o sui balconi. Ne descrive il rumore. Considera gentili e accoglienti le persone che incontra nei caffè. Le cameriere dell’Albergo Occidentale sembrano bambine. Quando parlano tra loro, ridono e squittiscono come donnole in calore e comunicano in una lingua misteriosa che assomiglia al francese. Nessuno parla il tedesco commerciale, l’yiddish o il boemo. È difficile mangiare cibi vegetariani e il diavolo lo sa bene. È vegetariano anche lui.

Il 21 giugno, Josef K. lasciò Torino senza aggiungere nulla sui motivi della sua visita. Si diresse a Montichiari, vicino a Brescia, per assistere a una esibizione internazionale di aeroplani.  Lo aspettava alla stazione il suo amico e confidente Max Brod cui non raccontò alcun particolare della breve esperienza torinese. Nemmeno della lettera a Felice Bauer abbiamo più traccia. Forse è conservata a Tel Aviv oppure l’assicuratore non l’ha mai spedita.

andrea scagliarini

Andrea Scagliarini è un musicista indipendente e un insegnante a tempo pieno in un quartiere difficile di una grande città. I suoi testi sono apparsi in antologia e sulle riviste letterarie Narrandom, Racconticon, Pastrengo, Enne 2, Border Liber, Nabu, Kairos Rivista e Fuori Asse.

racconto Edoardo Carsetti

la scarpa

Un racconto di Edoardo Carsetti
Numero di battute: 1935

Per questa notte una scarpa te la presto volentieri, disse la ragazza, poi sollevò appena il piede destro e mi fece cenno di sfilarle la scarpa col tacco. Scoprii, senza stupirmi più di tanto, che il suo piede aveva un buon profumo. Un profumo che avrebbe potuto ricordarmi, anche se non lo fece, la fragranza remota del nardo. Ma adesso non esageriamo.

Pensai che più tardi, quando la ragazza se ne fosse andata, avrei potuto sentire di nuovo quell’odore attraverso la scarpa, eppure non percepii nulla. Se non fosse stato per il lieve calore che emanava, si sarebbe creduto che nessun piede avesse mai calzato quella scarpa. Ad eccezione forse di una leggera impronta che aderiva appena alla soletta.

Non chiesi istruzioni su come poter usare quel dono e la ragazza non me le diede. Soltanto, si raccomandò di riportare la scarpa pulita come me la stava lasciando. Mi sembrò una condizione ragionevole e accettai. Era mezzanotte quando rimasi solo.

«Ma adesso
non esageriamo.»

Cercai di non sporcare in alcun modo la scarpa e sono quasi sicuro di esserci riuscito. Col tempo però l’impronta del piede al suo interno è quasi scomparsa del tutto. A volte, guardando quel che ne è rimasto, mi vengono in mente le unghie del piede della ragazza. Quelle unghie smaltate di rosso che avrei potuto paragonare all’interno lucente di cinque conchiglie o ai petali di una rosa, anche se né le conchiglie né la rosa mi vennero in mente perché in fondo le unghie del piede della ragazza erano semplicemente le unghie del piede della ragazza.

Non ne ho più viste di così perfette dopo quella volta. Non so neanche quanto tempo sia passato da allora. Sarebbe stato sensato chiederle almeno dove abitava. Ancora oggi vado di casa in casa a cercare un piede che combaci perfettamente con l’impronta lasciata all’interno della scarpa. Fra poco sarà completamente sbiadita e non servirà più a nulla.

Per fortuna essendo fatta di cristallo per ora la scarpa non ha fatto una piega.

Edoarda Carsetti bio

Edoardo Carsetti è nato a Fabriano (AN) nel 1996, ma da alcuni anni vive a Roma, dove si guadagna da vivere vendendo frutta e verdura. Nel tempo libero ama andare in palestra (luogo ideale per sollevare opinioni) e scrivere racconti o plagiare quelli altrui, spesso senza una vera giustificazione estetica.

costanza
ghezzi

Costanza Ghezzi (1963) vive a Orbetello (GR). Fondatrice di Thàlia Servizi Editoriali, è vicepresidente della commissione per le Pari Opportunità del comune di Orbetello e fa parte della commissione Pari Opportunità provinciale.

Ha pubblicato racconti su riviste e antologie e la novella Il segno di Nora (Bibibook, 2021).