Un racconto di Barbara Bedin
Numero di battute: 2500
L’insegna dell’albergo Luna era spenta.
Veniva accesa solo quando partiva la stagione, quando il paese cambiava aspetto trasformandosi da buco di provincia in rinomata località termale; quando turisti attempati in bermuda e calzini bianchi di spugna a mezza gamba, invadevano gli alberghi di Montegrotto Terme.
La pozza si trovava nell’incavo della curva, a trecento metri dal passaggio a livello, non era visibile dalla strada. Sulla rete di recinzione c’era un buco, l’avevano allargato la penultima volta, dopo il quinto strappo sul giaccone del Cardi che, a fatica, avrebbero giustificato ai suoi. Portavano uno zaino impermeabile, all’interno mettevano due borse dell’acqua calda per impedire ai vestiti di trasformarsi in cartapesta.
Faceva un freddo cane. Nella pozza, entravano con addosso solo la biancheria intima, una felpa appoggiata sulle spalle che sfilavano prima di immergersi nell’acqua bollente. Il Mechi prendeva la bottiglia di Caberné acquistata al discount, ché l’arte del risparmio inizia dall’alfabeto, la versava nei bicchieri di plastica e li passava al Cardi e alla Sole. Dentro quella pozza termale calda si sentivano belli, stravaganti, giovani; il vino li assolveva dall’essere adolescenti difficili.
«Dentro quella pozza termale calda si sentivano belli, stravaganti, giovani.»
Il Mechi usciva per primo e allungava gli asciugamani a tutti. Si cambiavano in fretta, la canottiera e il maglione infilati dai piedi, salivano piano lungo le gambe, sembravano bozzoli di bachi da seta. Una volta vestiti strizzavano bene la biancheria intima e la tenevano in mano gocciolante, lungo la strada del ritorno.
Con il vino nelle vene e la nebbia tutto intorno, attraversavano la rete sentendo il metallo impigliarsi nei capelli. Pensavano a quanti ne avevano persi, attaccati a quella recinzione difettosa, abbandonando tra le maglie della rete, i nodi che stringevano. Camminavano veloci, con il cappuccio delle felpe sulla testa e nella pancia una fame boia.
Quando li vedeva arrivare, il tipo del Furgone dei panini metteva le salsicce a scaldare sulla griglia. Un panino per Sole, tre ciascuno per Mechi e Cardi, perché dentro gli uomini alti è più difficile riempire i vuoti. Si sedevano sulle panche di legno umide, mangiando in silenzio e guardando i panni appoggiati alla corda tesa davanti la stufetta elettrica sotto il tendone. Pensavano a quante volte li avrebbero dovuti sfregare con il sapone per togliere l’odore acre della cipolla e a quante volte, nei loro pochi anni, si erano sentiti così: appesi a gocciolare sopra una griglia infuocata.
Barbara Bedin nasce sui Colli Euganei nel 1969. Dopo aver cambiato molte città, vive in pianura con la sua famiglia, due pesci rossi e un cane. Suoi racconti sono usciti su Abbiamo Le Prove, Cadillac Magazine, Grafemi e inutile. Ha vinto l’edizione del 2017 del Concorso Letterario # 23Aprile Golden Book Hotel. La sua pagina Fb è Tutto questo per dire.