Un racconto di Francesco Pattacini
Numero di battute: 2421
Lucia aveva i capelli raccolti in una treccia e una veste gialla di seta, il suo sguardo era timido e triste. Aida, dal balcone di fianco, fumava una sigaretta e osservava i netturbini portare via la spazzatura. L’accumulo di loro madre era diventato così ingombrante che, per prendere aria contemporaneamente, erano costrette a parlarsi dalle due stanze comunicanti.
«Mamma ha sempre odiato questo via vai notturno» aveva detto Lucia bevendo un sorso dalla tazza di tè.
«Avrà avuto paura che le buttassero via tutto lo schifo che conservava.» Aida aveva guardato gli scatoloni polverosi che ora gli appartenevano.
«Qui dentro ci sono ancora i miei vestiti da maschio depresso.»
«E i miei diari da sedicenne.»
«E le cose da pilota di papà.»
Anche se avevano ormai superato i trent’anni nessuna di loro era stata in grado di costruire una famiglia. Lucia non se la sentiva ancora di sposare Giacomo, nonostante fosse quello giusto, mentre Aida passava da una ragazza all’altra dopo essersi lasciata con Klara, la tedesca impiegata dell’Onu di cui si era innamorata a Bruxelles.
«Era tutto
quello che
le rimaneva.»
Giù, per le strade, abbastanza lontano perché solo loro potessero accorgersene, due ubriachi stavano pisciando sulla macchina di Aida.
«Stronzi! Andate a pisciare sul culo di vostra madre!» gli aveva urlato.
I ragazzi erano scappati spaventati con ancora le braghe slacciate. Aida aveva riso con una voce profonda, poi aveva cominciato a piangere.
«Una volta papà mi ha raccontato di come ha conosciuto mamma. Stavano partendo per Ibiza e lui era uscito dalla cabina di pilotaggio, l’aveva vista e si era limitato a dirle che avrebbe lasciato tutto. Era diventato il suo capitano, con la camicia bianca e la cravatta nera. Non fossero stati i nostri genitori non ci avrei mai creduto.» Lucia ogni volta che qualcuno piangeva si sentiva in dovere di consolarlo.
«Questi scatoloni rimarranno sempre qua» aveva aggiunto Aida, asciugandosi le lacrime su una maglietta dei Venom.
«Era tutto quello che le rimaneva.»
I ricordi di Maria, delle giornate al mare sulla Cinquecento, dei voli che Gianni le regalava ogni anniversario. Le sue camicie, su cui era più facile pensare che l’odore non fosse morto con lui. L’avevano circondata, fino a sostituire la realtà e intrappolarla nel suo piccolo corpo.
«Dici che dovrei sposarmi con Giacomo?»
«Tutti noi abbiamo bisogno di scatoloni da riempire.»
«E se ne diventassimo tutti schiavi?»
«Abbiamo forse un’alternativa?»
Francesco Pattacini (1991) è nato a Reggio Emilia e lavora a Bologna come copywriter freelance. Da un paio d’anni collabora con il progetto L’indiependente, rivista di musica e cultura. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati su ConAltriMezzi, Lahar, Lahar Berlin.