Un racconto di Salvatore Santagati
Numero di battute: 2486
Nella gara d’arte contro il grande puparo questa volta vincerà Edoardo Nevo, il suo disegno mette a posto tutto e tutto andrà come lui l’ha disegnato.
Lo definisce, strologando analiticamente gli ultimi pezzetti di futuro e vincendoli al caos, mentre nascosto nella falsa solitudine dei sedili posteriori perdona questo vile maggio in cambio d’aria fresca. Spalanca il finestrino e ringrazia il traffico che degli uomini se ne frega, perché l’ha arrestata lui l’ultima immagine della città alla sua sinistra. Straluna gli occhi, nulla deve scordare: è una nave in bottiglia, Modica; è una nave regia con il lusso della sera, le case come un mondo capovolto, i lumi gocce di pianti astrali, spiriti gialli custoditi per l’eterno.
È stato scortese rimanerci solo un giorno, allora la inserisce nel suo magnum opus e s’assicura che qui in estate ci tornerà con Glo Glo. Prima però le dirà che aveva ragione, che l’urgenza di firmare il mondo è per gli stronzi del nuovo millennio, poi fitteranno la loro personale goccia di luce e la guarderanno dal balcone, fino all’autunno, arresi alla felicità.
«È una nave in bottiglia, Modica;
è una nave regia con il lusso della sera.»
E questo suo melanconico conato verrà fuori, pure se cumulato in un unico sputo di vomito, in un botto di dolore inumano. Squarcerà il vanitoso stemma d’essere diverso, né lui né gli altri avranno bisogno della sua musica e senz’angustia spaccherà a martellate, a pugni forse, lo Steinway dell’aula ventitré e chi vi si metterà in mezzo; getterà tutto quello che ha composto in un vuoto di memoria, libero. Ogni posto sarà casa per Edoardo, mai più partirà per gli infiniti viaggi, non si vedrà contro la bufera guardiana che da sempre lo attende in quell’assurdo proibito ciglio dove giorno e notte s’è recato, coi suoi spasmi, a trovar nulla.
Sceglierà bendato un qualche Buddha in saldo e un bel gazebo per non morire di sole, ma sarà bello anche scottare in spiaggia, infuocarsi il naso d’acqua salata per un errore d’apnea, e il Mediterraneo guardarlo fino a stomacare. Sarà pelle, occhi, naso, lingua, orecchie. Nulla più.
Il traffico scorre, e Claudio davanti pesta arrabbiato il pedale. Modica muore lenta, Edoardo per fortuna ha completato il suo capolavoro.
Cento metri d’asfalto e alla sua destra si svela in lamiera e sirene la causa del grande ingorgo. Tutti guardano il disastro curiosi di pena. A Edoardo sfugge un canto irriflesso, troppo forte. Si giustifica come i bambini, si dice che questo non valeva, che non era pronto. Sono tutti disgustati a vederlo così, senza umanità.
Salvatore Santagati (1993) è nato a Catania e vive a Motta Sant’Anastasia.
I suoi racconti sono apparsi sul quotidiano La Sicilia e sulla rivista Rapsodia.
Sta scarabocchiando il suo primo romanzo.