Un racconto di Giuseppe Marrone
Numero di battute: 2469
La prima volta che incontrai mio fratello, mi disse che il mondo sarebbe finito. Lo avevano appena cavato fuori dall’incubatrice.
Nell’inquietudine suscitata dall’annuncio, ben visibile sul volto di tutti, il medico di turno volle tranquillizzarci. La precocità linguistica del piccolo sconfinava nel paranormale, ma a conti fatti non c’erano motivi per allarmarsi.
«E la fine del mondo?» domandò papà. «Le sembra normale che ne parli?»
Non ricevette risposta.
Lo chiamarono Luca.
Un’occasione sprecata. Poteva essere il primo caso al mondo di neonato che sceglie il proprio nome.
«E la fine del mondo?»
Seguirono lunghi, strani anni. Più strani che lunghi, a esser sinceri. E non furono anni felici.
Per quanto lo pregassimo di smetterla, Luca condiva con dispettoso compiacimento ogni giornata con le sue apocalittiche profezie. Una tragedia svegliarsi la mattina e aggiungere al pensiero della scuola la sua vocina già più matura della mia che mi ricordava la fine imminente.
E poi le profezie quotidiane… Non per forza tragiche, ma fastidiose, da manicomio.
Cominciò coi Mondiali 2010.
«Ultimi nel girone» annunciò.
Io e papà protestammo. Eravamo campioni in carica, diamine!
Da quel momento fu un continuo.
Quando scoprii il mondo delle scommesse, pensai di aver fatto centro. Ma, come poteva prevedere i risultati delle partite, Luca poteva prevedere anche che avrei speculato sul suo dono, e si divertì sei mesi a fornirmi gli esiti sbagliati, finché non seppe che mi ero arreso.
Come regalo per i miei quindici anni, cominciai a vedere uno psicologo.
Come regalo per i suoi sette, Luca cominciò a vedere un prete. Si sperava di fargli sputar fuori il diavolo o il santo che portava in corpo. Ma sapeva recitar bene, tanto che alla fine il prete consigliò a mamma e papà di farsi pure loro un giro dal mio psicologo.
Raccolsero il consiglio.
Un pomeriggio che ci lasciarono soli, lo inchiodai in un angolo con l’intenzione di dargliele di santa ragione.
«La devi finire» gli urlai. «Non è vero che prevedi. Tu non prevedi niente.»
Luca mi fissava.
«Hai presente gli elastici?» mi domandò.
«Gli elastici?»
«Il tempo è come un elastico. Si tira e si stinge, può sembrar lungo, può sembrar corto. Eppure, sempre dello stesso elastico si tratta. Io non prevedo. Vedo l’elastico nella sua interezza, so che un giorno si spezzerà.»
Mi prese la mano chiusa a pugno.
«Se ti concentri» mi disse, «puoi vederlo anche tu, il tempo.»
E lo vidi davvero, come un elastico che si tira e si stringe, che prima o poi si spezza.
Giuseppe Marrone (Sorrento, 1996) studia Filologia Moderna all’Università degli Studi di Napoli Federico II. Ha partecipato alla traduzione dal latino del Regimen Sanitatis Salernitanum, poi pubblicata in Naturalmente sani. Il nuovo Regimen della Scuola Medica Salernitana (EUTòPIA, 2017). Ha pubblicato le raccolte di poesie Sulla riva (Oèdipus, 2018) e Gesta barbarorum (Ensemble, 2019).