Un racconto di Domenico Talia
Numero di battute: 2373
“Rispetta u cani pe amuri du patruni.” Per i settentrionali la traduzione recitava: “Rispetta il cane per amore del padrone”. Traduzione letterale e sincera ma da sola non bastava. Nessuna traduzione da sola è sufficiente se vuoi capire cosa aveva in testa chi, prima di dirla, una frase l’ha pure pensata. Specialmente se l’ha pensata bene e soltanto dopo se l’è fatta scendere in bocca. “Rispetta u cani pe amuri du patruni”. Sì, il principio possiamo dire che va bene, ma anche il cane ti deve rispettare se il padrone gliel’ha insegnato. Se non ti rispetta, è un po’ anche colpa del cane, ma soprattutto la colpa è del padrone.
Nino a guardarlo era un giovane uomo come tanti. Qualcuno poteva notare i suoi occhi profondi. Era calmo, parlava sereno. Nulla di strano, quante migliaia di uomini erano così? Nino ti uccideva con il sorriso sulle labbra. Era serio, preciso, svelto. Non voleva impensierirti, men che meno terrorizzarti.
«Nino ti uccideva
con il sorriso
sulle labbra.»
Quando entrò nel magazzino, Peppe lo accolse come un amico e Nino un amico era. Amico anche di Peppe. Oltre agli occhi profondi, Nino aveva un padrone che col passare del tempo aveva imparato a rispettare. Da uomo serio e preciso, a volte lo rispettava più degli amici.
Peppe il cane non lo aveva rispettato, né per amore del cane, né per amore del padrone. Aveva sputato in faccia a Marco, lo aveva abbuffato di schiaffi e pugni e lo aveva lasciato a terra mezzo svenuto. Proprio come un cane. Lo aveva fatto perché quella bestiola di Marco era un ladruncolo che poche notti prima era entrato nel suo magazzino e la mattina dopo tante cose erano mancate. Lui aveva negato, ma tutti sapevano che era ladro e bugiardo. Però, purtroppo, Peppe aveva sottovalutato un dettaglio. Si era dimenticato che il cane va rispettato anche per il suo padrone e Marco era un sottopanza con un padrone importante. Padrone serio e pesante che in quel caso non si sarebbe voluto alleggerire. Infatti, per evitare di perdere peso chiamò Nino e gli disse di Peppe.
Peppe quella mattina era entrato vivo nel suo magazzino, ma qualche ora dopo ne uscì morto. Non un morto freddo, stecchito. Un morto a sangue caldo che ancora camminava con le sue gambe. Ma questo suo essere ancora caldo e quasi in piedi non diceva molto, anzi era una mistificazione. Nino lo sapeva già. Peppe se ne accorse pochi secondi dopo. Gli altri lo vennero a sapere il giorno seguente.
Domenico Talia è docente di ingegneria informatica all’Università della Calabria, ha pubblicato alcune raccolte di racconti, collabora con Nazione Indiana e con quotidiani.