Un racconto di Ottavia Marchiori
Numero di battute: 2495
Fuori dal consultorio il buio precoce da orario solare ha già consumato i bordi del pomeriggio fondendosi con gli strati di caligine accumulata sui palazzi, sulle auto parcheggiate lungo il viale, sui tigli strozzati dallo smog. Il freddo non è d’aiuto, anzi. Avrei fatto meglio a usare i bagni dell’ambulatorio appena finita la visita ma non volevo rimanerci un minuto di più, là dentro. Tutto quello che voglio è andare a casa.
Alla pensilina dei bus c’è una donna di mezza età, i capelli color mandarino, aggrappata al suo trolley per la spesa. Urla parole piene di consonanti dentro al suo cellulare mentre il pannello alle sue spalle dice che il sette arriva tra tre minuti.
«Tutto quello
che voglio
è andare a casa.»
La vescica mi si tende in uno stimolo continuo da giorni. È normale nelle prime settimane, ha detto il dottore. Sposto il peso del corpo prima su una gamba poi sull’altra, in una danza sbilenca e propiziatoria per non farmela addosso, le suole delle Dr. Martens che scrocchiano sul catrame. Sono quelle che mi hai regalato tu. A mia madre ho detto che me le ha prestate Cecilia, una che fa l’ultimo anno al liceo ma in un’altra sezione. Cecilia, da un po’ di tempo a questa parte, mi presta un sacco di cose senza saperlo.
La sagoma del sette si avvicina, si ferma a inghiottire me e la signora col carrellino poi torna a riallinearsi alla scia luminosa del traffico. Mi lascio cadere su uno dei sedili in fondo, guardo fuori ma il vetro mi restituisce solo il mio riflesso. A quest’ora sarai ancora in ufficio. Ti mando un WhatsApp, dimmi quando posso chiamarti. Avrei bisogno di un tuo abbraccio, adesso, ma con te è sempre per favore, permesso, è tutto un calibrare tempistiche, cesellare equilibri. Saper aspettare, saper stare al mio posto, inventare balle per far sega a scuola. Dopo le otto di sera, niente messaggi per carità, che non si sa mai. Ci vediamo solo alla luce del giorno, che ironia. Anche se poi rimane trattenuta dalle tende di una camera di qualche motel fuori città.
Il bus sa di gomma bruciata, conto le fermate che mancano e quando non ne manca più nessuna, mi metto a correre verso casa. Mia madre non è ancora rientrata, meglio così. Mi chiudo in bagno, piscio vetro e chiodi ma poi provo un enorme sollievo. Il cellulare vibra sul lavandino, sei tu che scrivi scusa, stasera non ho proprio tempo, ho una cena dai miei suoceri. Sergio Ufficio Acquisti ti risponde: chiamami per favore domani, appena puoi, dobbiamo parlare. Visualizzi e tutto quello a cui ho diritto è un pollice in su.
Ottavia Marchiori è nata a Broni (PV) nel 1980. Vive a Parma dove si è laureata in Lingue e Letterature straniere. È stata ideatrice e curatrice di un blog letterario dedicato a Jean-Claude Izzo. Suoi racconti sono inclusi nelle raccolte Una giornata di Hemingway in val Trebbia e Incontri ravvicinati di un diverso tipo (Officine Gutenberg) e Cinquantatré vedute del Giappone (Idrovolante). Altri racconti sono pubblicati o saranno pubblicati su Il Timoniere, Cedro Mag e Rivista Blam. Alcuni suoi componimenti sono stati pubblicati nelle antologie Haiku tra meridiani e paralleli – V stagione (FusibiliaLibri) e Poesie di Strada (Idrovolante). È collagista e alcune sue opere sono ospitate su Verde.