Un racconto di Marina Mongiovì
Numero di battute: 2449
Quell’estate Caterina era stata inghiottita da vicolo Floresta, tra le due e le quattro del pomeriggio. Per noi era la stagione delle canotte sudate e delle croste sui ginocchi. Quando lasciavamo le case, le mamme ci gridavano di stare attenti agli zingari. Il campo era stato sfollato due anni prima ma il sospetto di un ritorno dei Camminanti era sempre in agguato.
Scendevamo verso le campagne, armati di canne e bastoni. Ci addentravamo negli agrumeti colpendo i rami rugosi degli aranci. Trucidavamo lucertole che sotterravamo tra ciuffi di acetoselle e cuscini di borragine. C’era chi si nascondeva dietro un albero e tendeva un’imboscata. Bum! Qualcuno cadeva, qualcun altro rispondeva al fuoco nemico.
Arrivavamo fino al greto del fiume, cercavamo i ciottoli più piatti, li facevamo rimbalzare sull’acqua. Il fiume, in quel tratto, era più sassi che acqua, che scorreva pigra e verdognola. Catturavamo i girini per il solo gusto di vederli agonizzare e, tra il cicaleggio e il gracidare, echeggiavano le nostre male parole.
«Colpimmo
una, due,
tre volte.»
A volte ci spingevamo oltre, fino alle colline di mano di vecchia. Rocce calanchive che l’acqua e il vento avevano modellato per far vedere, a noi bambini, le lunghe e raggrinzite falangi di streghe. Si infilzavano, come radici, a cercare qualcosa che si perdeva al centro della terra. Una volta provammo a scavare, ai piedi di una di quelle colline. Trovammo delle monete di bronzo e dei pezzi di terracotta. Un tesoro che custodimmo gelosamente, sotto un albero di carrubo.
Sul finire dell’estate, partimmo armati di fionde per una battuta di caccia. Sarebbe stata una strage di lucertole e ramarri, i più abili puntavano a passeri e cardellini. La squadra si inoltrava tra ulivi e aranci, marciavamo sopra l’erba alta, incuranti delle macchie di malva e dei campanelli di vilucchio; risuonavano i muri di pietra al passaggio delle nostre armi da guerra. Vicino al fiume il vento scuoteva i salici e faceva fischiare le canne mentre veloci nuvole bianche ci sorvolavano la testa, creando ombre sull’acqua che rifluiva piano.
Tra la ghiaia e i giunchi, Luigi vide una macchia nera. Corremmo tutti in rappresaglia, caricammo le nostre fionde. Colpimmo una, due, tre volte. Ma la macchia era inerme, stava lì da chissà quanto tempo.
Ci ritrovammo, tutti in cerchio, davanti alla preda. I capelli di Caterina si ramificavano come rampicanti. Sembravano falangi di giovane strega conficcate, come radici, nella terra muta.
Marina Mongiovì (1982) nasce nella provincia etnea poi, per amore, si trasferisce a Palermo. Ha una laurea in scienze della comunicazione, ha cambiato spesso lavoro e collaborato con testate giornalistiche locali. Oggi fa la mamma, scrive racconti e scatta fotografie.