Un racconto di Arianna Cislacchi
Numero di battute: 2249
Saper correre è molto importante.
Quando sono alle spalle, cominciamo la corsa contro la morte. I nostri passi, sono pioggia che esplode sui tetti. Siamo creature minuscole, schifate dagli sguardi del mondo.
Ci temono, ci esaminano, ci avvelenano. Aprono i nostri corpi con arnesi, ci studiano nei laboratori. Quando la lama preme, siamo ancora vivi. I nostri piccoli organi sono caldi.
Mentre ciò accade, noi fissiamo negli occhi gli uomini. E ci chiediamo cosa li rende speciali. Cosa li rende umani. Nel senso etico, dell’anima. L’aspetto è già uso antico di discriminazione.
Mentre fissiamo negli occhi gli uomini, loro non ricambiano.
Quando l’ago si fa strada e ci richiude, siamo già morti. I nostri piccoli organi si raffreddano velocemente. Ci domandiamo spesso per quale ragione l’uomo ha bisogno di noi. Perché subiamo questa sorte. Forse siamo facili bersagli. E all’uomo piace vincere facile.
«All’uomo piace vincere facile.»
Con la sola suola della scarpa potrebbe schiacciarci.
Ma l’uomo non si vuole sporcare.
Se uno di noi muore, dà la colpa alle trappole.
Al gatto.
Al cianuro.
Alla sovrappopolazione.
Alle malattie.
Le sue mani ne escono pulite. E se ci sono mani da colpevolizzare, sono quelle di Dio.
Troviamo un bivio. Squittisco e giriamo a destra. Lo spazio è stretto. Si soffoca. In lontananza brilla qualcosa. Una luce. Un raggio di sole.
Squittisco. Siamo salvi. La libertà è a un paio di travi da noi.
Il mio piccolo si aggrappa al dorso, non riesce a correre. Ha la zampetta rotta.
Siamo salvi, figlio mio. Ci siamo quasi.
Andremo in campagna.
Viaggeremo tra i campi.
Gusteremo quel buon cibo perduto che si raccatta agli angoli dei ristoranti.
Staremo bene, tu e io.
Improvvisamente cade giù. Scivola lontano dalla mia schiena. Non ha perso l’equilibrio. Non ha colpito la parete sottile. Non si è ferito con un chiodo. Cedono a uno a uno, a terra, come sacchi. I vivi sui cadaveri, i cadaveri sui vivi. L’aria è irrespirabile. Mi fermo, annuso. Guardo intorno a me e non vedo nulla. Gli occhi stanno per chiudersi. Qualcosa mi stritola il cuore. Fa male come quando finiamo nelle braccia metalliche sparse per casa.
Vedo la luce puntare con insistenza su di me. Mi illumina il petto. La coda. Il muso.
Gli occhi degli uomini finalmente mi fissano. Ma io, non trovo pace.
Arianna Cislacchi ha trent’anni, è nata ad Albenga, ma vive a Torino dai tempi dell’università. Si è laureata in Scienze dell’educazione e lavora in una scuola dell’infanzia. Nel tempo libero legge, scrive e s’improvvisa pittrice. Le piace suonare il pianoforte e si considera fieramente nerd. Suoi racconti sono apparsi su diverse riviste letterarie e collabora con eco.l’educazione sostenibile.