Un racconto di Gabriele Marturano
Numero di battute: 2091
C’era una spora, o qualche migliaio, sull’asciugamano. Ora è dentro di lei, impercettibile e sopita. Ne scoprirà il nome solo quando avrà già cominciato a ucciderla. Gliela presenterà un medico molto capace, che farà carriera mentre lei saponifica nel loculo, il quale ha compreso la lunga e affascinante quiescenza del patogeno e per spiegarglielo ha improvvisato un’interessante favoletta biologica, antropomorfizzando i personaggi.
Quella sera stessa, il futuro luminare nonché esopo col camice, sorseggiando dell’ottimo vino rosso, espone il caso a una sua amica, il cui inconscio l’ha invitata a cena per una accennata somiglianza con la paziente, il cui nome gli sfugge.
«La spora
è divenuta imponente.»
Intanto lei è nel letto dell’ospedale, consapevole che sarà l’ultimo letto in cui dormirà. È persino comodo. La spora è divenuta imponente, ben radicata, una sequoia. Tiene un diario, da quando ha intuito che non sarebbe uscita presto dal reparto. Tra quelle pagine, inizialmente adopera la biro come una piccola vanga, cercando, con lievi buche, di piantare i semi della speranza.
Dopo alcune settimane, la biro è l’accetta con cui prova disperatamente ad abbattere la foresta che un mattino l’ha circondata, intrappolandole il fiato. Infine, la biro diventa un aspersorio con cui tenta di rendere metaforica la spora, esorcizzandola col verderame del fatalismo.
Quando si accorge di stare morendo, la morte è tutt’altro che astratta, è, anzi, un affannoso svaporare; percepisce lucidamente la fatica di ritrovarsi nel mezzo di un passaggio di materia che la rende suscettibile a qualunque cosa, al punto che si commuove osservando la condensa sui vetri, gli spinaci esausti nel piatto, l’aggressione della candeggina sul lembo di un camice...
È mattina, prende la penna, la issa, e comincia minuziosamente a dissotterrare un ricordo, poi un altro e un altro ancora, per ore, finché lì sotto ritrova il nasino della madre e le guance sode del padre, che liberando dalla polvere scopre sereni, come quando li cercava le prime notti in cui dormiva da sola, attraversando l’oscurità pur di assopirsi in quell’abbraccio.
Gabriele Marturano nasce a Carate Brianza nel 1992, ma vive da sempre a Verano Brianza. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Milano, ha insegnato materie umanistiche in una scuola secondaria di I grado della Brianza e ha scritto per una rivista internazionale di musica. Ha esordito con la raccolta di poesie L’anfibio (Fucine Editoriali 2020).