Un racconto di Arturo Caissut
Numero di battute: 2499
La mattina dopo ci svegliammo sulla spiaggia. Sabbia ovunque, polmoni umidi, ricordi confusi sulla lingua: giugno albeggiava, avevamo diciotto anni. Ci sistemammo i vestiti, ci avviammo verso la corriera che ci avrebbe riportati a casa. La scuola stava per finire, quella cena di classe era stata l’ultima occasione per noi: dopo anni passati a ignorarci prima e a fingere di farlo poi, quell’occasione non l’avevamo persa.
Io uscivo da una storia andata male, uno di quegli amori adolescenziali brevi e insignificanti che ai ragazzini sembrano seri come quelli dei romanzi ottocenteschi: Anna Karenina mi aveva lasciato dopo neanche un anno, io ero riuscito a malapena a farmi fare un pompino ed ero distrutto come solo un diciottenne sa essere. La mia vita era appena cominciata ma ancora non lo sapevo.
Lei era sola da un po’, o almeno credo. Aspettava quella cena da un po’, o almeno credo. Voleva consolarmi, o almeno credo.
Lei era la ragazza del primo banco, quella di cui cantavano i Social Distortion: se non sapete di cosa stia parlando non saremo mai amici. Non importa.
«La mia vita era appena cominciata ma ancora
non lo sapevo.»
Dopo cena ci eravamo spostati in una discoteca, proprio di fronte a quella spiaggia. Quando hai diciotto anni e sei in una discoteca di fronte a una spiaggia puoi fare due cose: ballare oppure ubriacarti. Io non ho mai imparato a ballare.
Flirtavamo da alcune settimane: lei sapeva che Anna Karenina se n’era andata, io sapevo che lei avrebbe voluto giocare a essere Emma Bovary almeno per un po’, però da sobrio esitavo da buon principe Myškin.
Non ricordo l’accaduto come una seduzione da parte sua o da parte mia, non ricordo drammi o pathos quella notte: pian piano ci ubriacammo e ci avvicinammo, finché fu naturale uscire, raggiungere la spiaggia, cercare di rubare un lettino, fallire, ridere, rotolarci per terra avvinghiati sotto le stelle.
Mi piacerebbe mentire e raccontarvi l’inizio di un amore: la verità è che la nostra storia nacque e morì quella notte sulla sabbia, come uno di quei fiori rari del deserto. Un mese dopo sarebbero finiti gli esami di maturità e noi ci saremmo separati per sempre: lei avrebbe abbandonato il primo banco e io l’ultimo. Saremmo cresciuti.
Camminando svelti sulla spiaggia non ci tenemmo per mano, forse nemmeno parlammo: a ripensarci adesso, dopo quasi vent’anni, non riesco a immaginare cosa ci saremmo potuti dire. Forse avremmo dovuto parlare un po’, camminare più lentamente, concederci l’illusione che quel giorno all’alba non stessero già scorrendo per noi i titoli di coda.
Arturo Caissut (1984) è ingegnere biomedico e appassionato di arti marziali tradizionali. Fin da ragazzo cerca di far convivere la passione per la tecnologia con quella per la scrittura: se grazie alla prima ha fatto carriera, con la seconda ha ottenuto qualche soddisfazione in concorsi di scrittura nazionali e non, dedicandosi prevalentemente ai racconti brevi ma facendo anche qualche incursione nel mondo della poesia. Beve molto caffè, ascolta spesso i Rush e aspetta pazientemente che il grande Cthulhu si risvegli per chiedergli delle spiegazioni.