Un racconto di Eduardo De Cunto
Numero di battute: 2471
Piove. Adalberto cammina. Un passo segue l’altro.
Un passo sinistro dopo un passo destro, una goccia dopo una goccia. In città piove da sempre e piove sempre. E Adalberto, è da sempre che cammina?
La pioggia insiste. Si intensifica. Torna rada ma non smette.
Un passo dopo l’altro, una goccia dopo l’altra: più gocce che passi, si direbbero due ordini di infinito.
Non da sempre cammina, Adalberto. Tanti anni fa gattonava, e prima ancora non c’era piede da mettere avanti a piede.
Neanche il cielo piove da sempre. Due ordini di finito, dunque, di estenuante enormità.
«Neanche il cielo piove da sempre.»
A piede segue piede, a goccia segue goccia. Adalberto piove insieme alla pioggia: cade pioggia dalla sommità concava del cranio alla lingua, poi giù per l’esofago fino a seccarsi sul cuore. A piede segue piede. È Adalberto che cade, mentre cammina in piano. A piede segue piede: batte la pioggia, batte il petto. Attorno alle caviglie inzuppate pare crescano radici, tanto è innaffiato. Parrebbe dover restar fermo, trattenuto all’asfalto, riflesso nelle pozzanghere, invece non è che una macchia che si sposta di polla in polla.
Adalberto piove con la pioggia, e piovono con lui i concittadini. Gli piovono dall’altro lato del marciapiede, o in senso contrario, o d’obliquo, talvolta nel medesimo verso. Li supera, lo superano, si incrociano. Un cenno muto di mano, o di capo, e poi piede avanti a piede, gamba avanti a gamba, nuvole che passano e che piovono per conto proprio.
Non passano mai le nuvole della città, quelle no. Se passano ne arrivano altre.
La gente che passa non piove che fuori ai vestiti. Dentro, non sembra bagnata. La pelle, che copre ogni passo di piede, ogni gesto di mano o di capo, è impermeabile. Quegli altri non piovono che dal cranio convesso, non giù per l’esofago. Eppure vanno, va il cuore, vanno i piedi in ogni dove e in ogni senza perché.
Adalberto cammina. Gli occhi arrivano dove i piedi non possono. Laggiù, le nuvole si aprono ferite da una lama d’oro. La carne d’ovatta che copre il cielo si apre e sanguina, sfuma in rosa nell’epidermide di nuvola esfoliata, si fa livida e poi, per un’impercettibile linea, verde, poi gialla dove la pelle è quasi guarita. Ma questo è lontano. Sopra la testa d’Adalberto, sulla città, c’è solo nero, e perlopiù grigio, al limite un bianco sofferente che non ha riposo.
Cammina, va dove dev’essere caldo. Percepisce il tepore. Non è che un attimo, un pensiero d’asciutto, e la sensazione è persa. A piede segue piede, a goccia goccia.
Eduardo De Cunto è nato a Benevento nel 1983. Ha condotto studi giuridici e oggi vive e lavora a Bari. Voleva tuttavia fare anche qualcosa di serio, per cui scrive canzoni, racconti, romanzi. Recentemente, alcuni suoi racconti sono apparsi nella raccolta Come salmoni, a cura della Lorem Ipsum, e sulle riviste Risme, Voce del verbo, Squadernauti, La nuova carne, Quaerere, Bomrché e Colla. Collabora ogni tanto con il blog letterario Vita da editor.