Un racconto di Tito Sdralevich
Numero di battute: 1626
A., tu forse non lo sai, ma c’è una tribù di nomadi che da secoli vaga per un deserto di zucchero. I bambini della tribù nascono sotto tende nere. Appena nati, ricevono in bocca un piccolo sasso levigato – così impareranno a sopportare la sete.
Da sempre i nomadi danno la caccia a una città fantasma. Le minuscole case dai tetti d’argilla, le ombre dei minareti proiettate sulla sabbia, le bianche fontane di acqua dolce: non sono che un miraggio.
Funziona così: ogni mattina il sole illumina i cristalli di zucchero vorticanti nell’aria, la città prende forma; un grido di gioia e di meraviglia si leva dalle tende, ma ecco che subito la città si sfascia, si rimescola, scarta di lato e, alla fine, precipita su sé stessa.
«Da sempre i nomadi danno la caccia a una città fantasma.»
I nomadi, cocciuti, la inseguono con il cuore spezzato. I bambini non hanno che una domanda per le madri: «Quando?». Le madri accarezzano loro la testa e rispondono: «Quando soffierà il caldo vento del deserto».
Quando soffierà, solidificherà i cristalli, allora abiteremo nella grande città, fatta di aria e di luce. Le bocche buie dei bambini si spalancano. Le madri continuano a raccontare. «Entreremo scalzi nelle moschee, e inginocchiati sulle trame di lana ringrazieremo Dio, che ci ha donato la sua città più fragile, perché solo ciò che è fragile come il cristallo può essere attraversato dalla luce.»
A.: che sei stata bambina e hai sopportato la sete. Ora che sei la mia città. Ora che le tempeste ti soffiano via per il deserto. Ti inseguo rigirandomi in bocca le macchie scure che hai negli occhi, i tuoi denti, che tante volte si sono scontrati con i miei. E aspetto che si alzi il vento.
Tito Sdralevich ha trent’anni, vive a Milano e ha studiato Neuroscienze. Ha pubblicato dei racconti su Nazione Indiana.