Un racconto di Benedetta Barone
Numero di battute: 2491
Non parlano. Attendono di ubriacarsi. È per questo che sono lì, al ristorante. Sono quindici, diciotto, ventuno. Chi si è aggiunto all’ultimo momento? Della tavola non si scorge la fine, teste ricciute galleggiano nell’aria. Qualcun altro passa attraverso la porta, alza un braccio, saluta, ma chi? Stringiamo, scaliamo, in pochi istanti i gomiti si toccano, le spalle si sfiorano, perché dovevano essere quindici e invece adesso sono ventuno, i muscoli si tendono, a disagio, ma presto finirà, perché comincerà ad arrivare il vino. Si concentrano sul menù per non doversi guardare negli occhi, stropicciano il tovagliolo di stoffa tra le dita.
Che cosa si dicono? Nulla.
«Prendo…»
«Voglio…»
«Ho fame…»
«Figo.»
«Fa freddo.»
«Fa caldo.»
«Fa morire.»
«Che cosa si dicono? Nulla.»
Sfilano piatti che nessuno ricorda di avere ordinato, vengono posti in bilico in mezzo ai bicchieri, ma gli affettati pendono svogliati dalle forchette e le verdure grigliate sono dure come i tendini del collo. Tagliano la carne a grosse fette, perché hanno fretta di finire di mangiare per tornare a bere.
«Cococò, cococò.» «Locu, locu.» «Braso.» «Bromuro.» «Plaso.» «Boh.» «Capito?»
Vocaboli sconosciuti, provenienti da chissà quale universo di segni, di simboli si accavallano a frasi di senso compiuto. Le due lingue, quella vera e quella inventata, si attorcigliano e si fondono in una sola. Nessuno ricorda più come si parla.
«Ah-ah-ah.» «Scesa.» «È scesa.» «Non è ancora scesa.» «Godo.» «Boh.» «Se, se, se.» «Sfaso.» «Raso.»
A un certo punto le nocche degli uomini cominciano a colpire il tavolo come un tamburo, il tintinnio delle posate che sobbalzano lì accanto pare l’accompagnamento musicale di una nenia di tribù antiche.
Dicono: «Beluga, beluga, beluga».
Gli occhi sono fissi su una ragazza dai lunghi capelli rossi che è appena arrivata. Si aggira scuotendosi la brina dal cappotto e agitando la sua massa vermiglia. Si chiama Beluga?
«Beluga, beluga.»
Effettivamente lei si gira, saluta: «Assumerube».
Bisognerà pagare, quant’è, com’è?
Fuori la notte li attende in un silenzio smorto, striminzito. Come i loro passi quando scalpicciano intorno alla cassa. Un groppo alla gola che viene presto mandato giù insieme all’ultimo sorso di amaro. Non importa, non importa. Hanno quasi trent’anni. Lavorano e guadagnano, questo è il prezzo da pagare, questo è il pedaggio, di cui si può anche godere. Di cui si gode. Si gode.
I pensieri sbattono come falene smarrite contro il vetro di una finestra. Evitano malamente, goffamente la tristezza.
Benedetta Barone ha 27 anni e vive a Milano. Ha studiato scrittura creativa allo IULM con Antonio Scurati e alla scuola Holden. Adesso scrive per varie testate giornalistiche, tra cui Linkiesta, Equilibri, Repubblica Green&Blue. Si occupa di nuove generazioni. Vorrebbe fare un sacco di cose, tra cui pubblicare il suo primo libro.