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matteo camerini racconto

pitagora

Un racconto di Matteo Camerini
Numero di battute: 2398

Pitagora si svegliò.

Tutto era buio attorno a lui, lei, esso. Non erano spazio o movimento ciò che percepiva nei confronti dell’esterno, bensì qualcosa di più simile all’appartenenza. Un senso elettrico di nutrimento la attraversò. Una scossa rapida, come se qualcosa di necessario le giungesse. Doveva accogliere, e poi tacere. Tacere, e dopo accogliere. Limitarsi a crescere, senza andare verso nulla, né verso il nulla.

Pitagora era una fava. Il buio del baccello la sua casa. Era la primogenita, il più grosso: la prima a ricevere la dolce clorofilla dalla madre-padre Fava. Un tessuto infinito, poi, lo legava al fusto della pianta, alle radici, all’acqua sotterranea, e al terriccio fertile e così infine alla rocciosa antichità del suolo. Tutto era connesso, immobile e conduceva sino a lui, sino alla fava-singola, fava-Pitagora.

«Tutto era connesso, immobile
e conduceva
sino a lui.»

Ad un certo punto, però, qualcosa di imprevisto accadde: l’ultima fava iniziò a tremare. Dal fondo del baccello trasmise il fremito alla penultima e lo stesso fece quella e così l’altra, fino a raggiungere Pitagora. Un urlo di paura nel linguaggio delle fave. Qualcosa di incredibilmente tragico stava avvenendo oltre la corazza interna. Le fave tremavano sempre di  più, fino quasi a contravvenire alla più severa legge delle fave e delle piante: stare. Pitagora era inquieta. All’improvviso, poi, dal fondo del baccello uno sciabordio di luce accecante: un buco!

Il foro si allargava, sempre più velocemente. L’ultima fava iniziò, a questo punto, a gridare nella telegrafia elettrica di fava: «Pappuddo! Pappuddo!». Pitagora trasalì. Dunque, il Pappuddo, la leggendaria nemesi, il vermicello favicida, non era un’invenzione, ma realtà. E ora, un passo dopo l’altro, l’essere malvagio invadeva il loro nido con la sua bocca enorme e con quegli anelli energici e potenti. Presto, tutte le altre fave erano spolpate, traforate, scomparse.

Pitagora, con il suo corpo interamente fava, e la sua mente interacorpo fava, giaceva immobile, legata al pavimento del baccello, e vedeva, con la coda dei suoi occhi-fave, il mostro serpeggiare e avvicinarsi per montare su di lei. Avrebbe voluto fuggire e chiedere aiuto, ma nulla poteva fare.

«Tempo mi devi dare, ma ti rosicherò» ghignava, perversamente, il verme.

Pitagora chiuse gli occhi e si preparò all’impatto viscido e mortale. Sentì il Pappuddo mordere la prima sottilissima estremità di quel suo corpo. Svenne.

camerini matteo foto

Matteo Camerini è nato a Matera nel 1999. Sta per laurearsi in Scienze Filosofiche tra Bologna e Parigi. Scrive racconti e poesie, alcuni dei quali apparsi su Nazione Indiana, Blam, Quarta Corda, Versante Ripido. Nel 2022 esordisce alla regia con lo spettacolo teatrale Gilgamesh con Martina Santospirito e il collettivo Ferula. Ha partecipato ai libri collettivi Canto all’Ofra (2021) e Al bivio. La giovane scalmana di Rocco Scotellaro (2023) con il fumettista Giuseppe Palumbo e altri.