Pastrengo Agenzia Letteraria

racconto Martina Ciullo

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Un racconto di Martina Ciullo
Numero di battute: 2314

Da quando avevamo scoperto che ero incinta ne avevamo visti a decine.

I colloqui li facevamo in ufficio. «La prudenza non è mai troppa» diceva mio marito, e io ero d’accordo, soprattutto quando si parlava di robot-babysitter. Si sentivano strane storie. Un luccichio sospetto in fondo agli occhi, un cenno furtivo con la mano. Certi modelli sembravano leccarsi le labbra, anche se non avevano né lingua né labbra.

«Ho sentito dire che un robot ha cercato di rapirne uno» dicevo a mio marito, la sera, a letto. Lui mi rassicurava, avevamo iniziato a cercare con grande anticipo e avremmo scelto un modello di prima fascia.

«Si sentivano strane storie.»

E poi, dopo infiniti colloqui, avevamo conosciuto lui, un robot maschio. Non che li avessimo esclusi a priori, ma sapevamo che le femmine avevano più skills. Eppure appena avevo visto Ting Ting avevo capito che era quello giusto.
Lo sguardo dolce, le mani sulle ginocchia. Sembrava un uomo appena arrivato nel nostro paese da molto lontano più che un robot governativo progettato per aiutare le famiglie che potevano permetterselo.

Ting Ting mi aveva chiesto: «Come si chiamerà?», e siccome nessun altro robot aveva mai fatto una domanda simile, io, d’istinto, gli avevo risposto.

Poi mio marito mi aveva sgridata: «Perché gli hai detto il nome vero?».
Mi fidavo già di Ting Ting, ma non potevo certo dirglielo.

Dopo altri due colloqui nell’ufficio, l’avevamo fatto venire a casa nostra. Lui sfiorava tutto con lo sguardo, stando bene attento a non urtare nulla. Io gli sorridevo, sempre più rotonda.

«Vieni, Ting Ting, ti faccio vedere la camera della bambina.» Lui era rimasto per lunghi minuti a fissare la culla.

«In quale lingua vorresti parlarle?» gli aveva chiesto mio marito. La prima funzione dei robot-babysitter era far crescere i bambini bilingui.
Ting Ting gli aveva risposto con una rapidità sorprendente: «Potrei parlarle in cinese?».

Nessuno di noi aveva niente in contrario, anche se avremmo preferito una lingua più internazionale. Dopo la guerra nucleare la Cina era una minoranza, ormai meno di un milione di persone parlavano mandarino nel mondo.

«Sei cinese, Ting Ting?», gli avevo chiesto, senza nessun motivo, e infatti non mi aspettavo che lui mi rispondesse.

Avevo pensato che eravamo fortunati, io, mio marito e la bambina.

Poi lui aveva detto: «Vorrei saperlo anch’io».

ciullo martina bio

Martina Ciullo è una violinista professionista e scrive da sempre. Ha studiato Giornalismo a Trieste e Sceneggiatura alla Scuola Holden. Vive a Roma.