Un racconto di Daniele Pasquini
Numero di battute: 2455
Quando, dopo essere stato inseguito, si ritrovò sul retro di un capannone con un coltello puntato alla gola, solo allora capì a quanto poco servissero i rimorsi per aver sprecato la vita di un tempo, quando gestiva il bar, quando si faceva un gran culo e ogni mattina alle sei tirava su la saracinesca e sentiva il profumo delle brioche appena scaricate dal pasticcere, quando c’erano ogni tanto delle piccole cose che lo commuovevano, non che lo rendessero felice – era comunque un quarantacinquenne fallito – eppure un senso alla giornata lo davano, cose come il buongiorno del primo cliente, come l’ultimo cicchetto la sera, come fantasticare sulle ragazzine che compravano la merenda, quelle storie lì, che gli sembravano pochezze, eppure le rimpiangeva ora che se le era lasciate sfuggire, come si era lasciato sfuggire Letizia, l’unica donna che bene o male c’era sempre stata, che non era una bellezza ma gli faceva compagnia fino a chiusura e pure dopo, che lo aveva portato in vacanza, lo aveva accompagnato alle cene coi parenti,
Letizia che gli reggeva il capo quando vomitava, che gli preparava le lasagne per il compleanno e che gli aveva dato il culo nonostante le ritrosie, che gli aveva prestato duemila euro per risistemare il bancone del bar e invece lui da sei mesi sputtanava in cocaina più di quanto riuscisse a guadagnare,
«Non c’era niente da fare, solo inutili ricordi, flash.»
e sì che aveva iniziato così per provare, ma c’era precipitato, e allora aveva provato a prenderla all’ingrosso e piazzarla per ripagarsi il vizio – non voleva spacciare e arricchirsi ma quantomeno minimizzare la spesa – ma in quel ramo imprenditoriale c’era chi non l’aveva presa bene, gente che gli aveva mandato avvertimenti che lui aveva ignorato, troppo tardi per fermarsi, per tornare a pensare al bar e alle brioche, ora che nell’aria c’era solo il tanfo dell’area industriale e i ronzii costanti dei capannoni non c’era niente da fare, solo inutili ricordi, flash, come nel momento in cui iniziando a sentire la lama che incideva la pelle, nell’istante in cui da copione avrebbe dovuto chiedere pietà, in quel momento ripensò a sua madre morta di cancro un anno prima, che una notte verso la fine dell’ultimo ciclo di chemio lo sorprese in casa da lei a frugare nei cassetti, quella notte che sua madre gli disse perché mi fai così, va a finire che farai una brutta fine e lui nel buio si vergognò, e ora che anche lui forse moriva pensò a quel che le disse: mamma tranquilla, è solo un brutto periodo.
Daniele Pasquini (1988) è nato in provincia di Firenze. Giornalista pubblicista, si occupa di comunicazione e di eventi culturali. Ha pubblicato il romanzo Io volevo Ringo Starr (Intermezzi 2009), il racconto lungo Le rockstar non muoiono mai (Intermezzi 2013) e la raccolta di racconti Ripescati dalla piena (Intermezzi 2015). Suoi racconti sono stati pubblicati su riviste, blog e antologie (tra cui Prendi la DeLorean e scappa, Las Vegas, 2015). Fa parte della redazione di The FLR e scrive per Riot Van.