Silvia Cannarsa (1991) è nata e vive a Torino. Diplomata alla Scuola Holden, ha lavorato per cinque anni nell’ufficio didattico - organizzando eventi, pianificando lezioni - per poi diventare freelance del mondo culturale.
È stata Content Specialist di «ilLibraio.it», e scrive (e ha scritto) per alcune pubblicazioni online (Gedi Visual, «la Repubblica», «ilLibraio.it», «Giovani Genitori», «Tropismi», «Playboy» ecc). Organizza eventi culturali a Torino, passeggiate letterarie e presentazioni. Attualmente è la Copywriter dell’agenzia di comunicazione To Be Events.
Nato a Genova nel 1980, Michele Vaccari si occupa di editoria, cinema, rap e comunicazione dal 1996.
Nel 1998 è stato uno degli anti editori della Fabbrica Globale dell’antilibro ideata da Piero Dorfles e Edoardo Sanguineti. Nel 2000 ha scritto il primo gioco via SMS della Wind per Mediaset che ha aperto la strada alle varie app di messaggistica chat relazionali di inizio millennio, simulando i botta e risposta delle intelligenze artificiali di oggi. Nel 2001 ha creato il sito ufficiale e la prima fan community di Niccolò Ammaniti. Nel 2004, si è laureato al DAMS e al master biennale in Teorie e tecniche della narrazione della Scuola Holden.
È stato consulente tecnico per il Dizionario storico dei linguaggi giovanili (UTET 2004), ha scritto per riviste specializzate di musica e costume («Vogue», «Rocksound», «Groove»), ha pubblicato racconti («Effe», «Nuovi Argomenti», «K - la rivista dell'Inkiesta»), ha collaborato come script consultant per la Todos Y contentos di Andrea Patierno.
Ha lavorato per varie realtà editoriali (direttore editoriale di Transeuropa, consulente editoriale per Rizzoli, Mattioli 1885), agenzie letterarie (The Italian Literary Agency, Kalama, Berla&Griffini). Dal 2006 al 2008, in collaborazione con Legambiente, ha coordinato la prima collana di narrativa a tematica ambientale partendo dalle storie del Rapporto Ecomafia. Dal 2015 al 2019 è stato il copywriter italiano delle campagne marketing e virali di Comedy Central e Paramount Channel (Finalista Premio Promax South Europe – Africa 2018).
Nel 2018 ha ideato e diretto la collana di romanzi d’anticipazione Altrove per Chiarelettere. Nel 2019 ha supervisionato la scrittura del progetto fiction e documentario Making of Love per portare l’educazione sessuale nelle scuole uscito su Sky e diventato un libro per Fabbri.
Ha insegnato Editing presso Scuola Mohole, Scuola Macondo, Scuola Carver. È stato editor tutor per Belleville. Attualmente, insegna Scrittura di genere e tecniche narrative per Scuola Holden. Nel 2022 ha fondato Crudo, studio editoriale che prova a portare il concetto di impresa etica nel mondo dei libri.
Come autore, ha pubblicato Italian Fiction (ISBN, 2007), Giovani nazisti e disoccupati (Castelvecchi, 2010), Delia Murena (Ad est dell’equatore, 2010), L’onnipotente (Laurana, 2011), Il tuo nemico (Frassinelli, 2017), Un marito (Rizzoli, 2018), Urla sempre, primavera (NNE, 2021), Buio padre (Marsilio, 2023).
Un racconto di Flavia Di Mauro
Numero di battute: 1969
20 maggio 1916
Caro A.,
Come ti avevo promesso, ecco un breve resoconto di quanto accaduto lunedì scorso. È successo nella piazza della foto, sotto l’albero di cotone. Il sindaco Dollins ha addirittura voluto un fotografo. Non avevo mai visto una folla così.
Washington è arrivato alla corte alle 10.30. Il processo è stato breve e il verdetto unanime, come ci aspettavamo. Alla fine se l’è preso la folla, e giustamente non ci sono state interferenze. Un uomo biondissimo gli ha gettato una catena al collo. W. gli ha morso un braccio, ma qualcuno l’ha colpito e grazie a Dio non è riuscito a liberarsi. Hanno continuato fino alla piazza, con delle bottiglie e delle mazze. Arrivati all’albero di cotone W. era coperto di sangue.
«W. era coperto
di sangue.»
È stato il biondo a guidare le operazioni. Noi urlavamo di gioia. W. è stato spogliato e ci siamo accorti di quant’era giovane (può un mostro così avere diciassette anni?). Poi il biondo ha versato l’olio e issato in alto catena, e due dei miei parrocchiani hanno fatto tutto il resto. Gli hanno reciso il pene. Poi le dita. Hanno accesso il fuoco, e W. con le dita mozzate ha provato a salire sull’albero mentre noi ridevamo. C’era un odore infernale, A., un odore di barbecue da darti l’acquolina. Io stavo per vomitare, ma poi ho pensato al dolore di Fryer e sono tornato in me: ho applaudito con gli altri. Il rogo si è spento due ore dopo. Il biondo allora si è messo a urlare: W. non ha cambiato colore, gridava, era già di carbone. Noi annuivamo. Era chiaro che il fuoco fosse il suo destino, ma perché sono sempre loro a commettere questi crimini?
Comunque, A., sono certo che fosse la cosa giusta: il messaggio è arrivato forte e chiaro. Mai più nessuno toccherà le donne di questa città, mai un altro negro. Però ora abbiamo un problemino con l’odore. Non va via neanche con la pioggia, non la smettiamo di vomitare. Crediamo che qualcosa bruci ancora. Ma che cosa? E come spegnerlo? Ti terrò aggiornato.
Saluti da Waco,
Tuo fratello
Flavia Di Mauro è nata a Napoli nel 1994. I suoi racconti sono apparsi in Sotto il Vulcano e Word for Word. È stata coautrice per La Stampa del podcast “Vlora, la nave che sfondò il muro”. Vive e scrive a Torino.
Un racconto di Lorenzo Bianchi
Numero di battute: 2469
Bene, direi che è tutto. Mi sbilancio: l’esito del colloquio è positivo.
La ringrazio, ne sono lieto.
Siamo pronti a inserirla nell’organigramma aziendale.
Benissimo. Non vedo l’ora di iniziare.
Si capisce. Comunque, fanno novemilasettecentotrentotto euro.
Come scusi?
Più una marca da bollo da sedici euro.
Eh?
Per la registrazione del contratto, si capisce.
Non sto capendo.
Il costo del corso di formazione che dovrà sostenere, è chiaro.
Ma… chiedo scusa, sull’annuncio dell’agenzia interinale non era menzionato niente di tutto questo.
Non badi alle formule, sa bene che gli annunci sono convenzioni. L’obbligo di formazione è insito nell’offerta proposta a tutti i candidati che selezioniamo. È ovvio.
Scusi, non è ovvio per niente.
E perché no?
Devo pagare di tasca mia per lavorare? È assurdo.
Lei paga per il corso di formazione, non per lavorare.
Mi pare che abbiate delle idee un po’ confuse.
Non c’è alcun bisogno di insultare.
Messa così sembra proprio una truffa, ecco.
Ma che dice. Non sia mai.
Pare proprio così invece.
«I dati parlano chiaro.
Vede queste tabelle?»
Lasci che le dica: la nostra percentuale di occupati al termine del periodo di formazione si attesta al 91,4%.
Addirittura?
I dati parlano chiaro. Vede queste tabelle?
Sì.
Cosa c’è scritto qui?
Percentuale di occupati al termine del periodo di formazione pari al 91,4. Questo è solo un grafico su una tabella.
Lei mette in discussione l’etica della nostra Azienda. Lo sa che operiamo sul mercato da trentacinque anni e con risultati incontrovertibilmente eccellenti? Guardi, cosa c’è scritto qui?
Risultati incontrovertibilmente eccellenti.
Ecco.
Ho capito. Che perdita di tempo. La saluto.
In che senso?
Nel senso che me ne vado.
Non credo sia possibile.
Sta scherzando?
Le sembra che stia scherzando?
È assurdo.
Non lo è. Si rimetta seduto, per cortesia.
Perché la porta non si apre?
Si rimetta seduto.
Voglio uscire di qui.
Non credo sia possibile.
Ma è matto?
Le ricordo che ha sostenuto il colloquio.
E quindi? Non ho firmato niente.
Ha risposto all’annuncio. Ha sostenuto il colloquio.
Ma non ho firmato nulla!
Non ha capito? L’esito del colloquio è positivo. La inseriremo nell’organigramma aziendale.
Chiamo la polizia.
Non credo sia possibile. Lei ha sostenuto il colloquio.
Aiuto!
Non urli, per cortesia. È contro il regolamento aziendale.
Mi sento male.
Tolga le mani dalla scrivania. E smetta di sudare. È contro il regolamento.
Mi manca l’aria. Ci vedo doppio.
Lei è nostro.
…
Si svegli. Non può dormire sul luogo di lavoro.
…
Si svegli.
…
Deve iniziare la formazione.
…
Lei è nostro.
Lorenzo Bianchi è cresciuto a Livorno e vive a Bologna. Ha studiato filosofia e insegna alle superiori. Collabora con la Scuola Carver come editor e docente di scrittura creativa. Ha collaborato con Valigie Rosse in qualità di editor. Ha pubblicato articoli e racconti su Passaporto Nansen, la nuova carne, Ilcorsaronero. Ha ideato e coordina Rivista Waste. Nel 2022 ha pubblicato per Zona42 la novella Pellegrino è l’universo.
Un racconto di Eleonora Falleni
Numero di battute: 2470
Appuntamento alle due del pomeriggio alla fabbrica sdentata, con le finestre rotte, dove ha lavorato anche mio padre. Siamo sempre le stesse, ci conosciamo dai tempi delle elementari quando indossavamo il grembiule bianco, pulito come i nostri bei faccini. Oggi, finita la terza liceo, abbiamo il viso imbrattato di nero, neppure le mutande sono bianche, come se le nostre giornate (vite) finissero dentro quell’edificio morto, tra sigarette e bottiglie di vodka fatte comprare da amici maggiorenni.
I minuti scorrono lenti, passa un gabbiano nel cielo, oscura il sole, appoggiata con la schiena al muro avverto un brivido, vedo la bottiglia completamente svuotata, il liquido galleggia negli occhi di Nina, Marta e Viola. Vorrei alzarmi, andarmene, mi tocco la fronte umida, sto per salutare le amiche quando percepisco un movimento, l’unico in quell’aria stagnante. Vedo Tommaso, il fratello più piccolo di Davide, avrà dieci anni, il suo viso è ancora senza ombre.
«Appuntamento alle due del pomeriggio alla fabbrica sdentata.»
Le altre seguono il mio sguardo, cerco di distoglierlo ma ormai lo hanno visto, sembrano belve in attesa di braccare la preda, il puzzo del sudore si mescola a quello della vodka, troppo caldo, la fabbrica mi risucchia, mi perdo, cado a terra. Dove sono? Apro gli occhi e vedo Nina, Marta e Viola disposte in cerchio, avranno trovato un piccione quasi morto o qualche altro animale da seviziare, tanto per passare il tempo e arrivare a sera. Dal cerchio sbuca un paio di scarpe, sono di Tommaso, è steso a terra, frigna e la sua voce esce come un pigolio. I suoi vestiti sono buttati più in là.
Scatto in piedi troppo in fretta, barcollo, devo vedere cosa sta succedendo. Ricordo quando in cortile i figli del vicino catturavano le lucertole e con un coltellino tagliavano via la coda, oppure la spezzavano a mani nude. Le povere bestie una volta libere scappavano mutilate e quel pezzo di loro continuava a muoversi nella polvere. Io stavo a guardare immobile senza dire una parola, per paura di fare la stessa fine.
Mi avvicino a Tommaso e lo raccolgo, il bimbo ha il viso bagnato e sporco di terra. Percorro con lo sguardo il corpo innocente, controllo che nessun pezzo sia stato amputato. Nina, Marta e Viola mi osservano, come a dirmi: anche tu sei una belva, hai respirato il marcio di questa fabbrica. Tommaso se ne va via correndo, i vestiti abbandonati lì, come la coda della lucertola. Sono tornata bambina, a quando rimasta sola raccoglievo i resti e li seppellivo nelle aiuole del cortile.
Eleonora Falleni è nata nel 1977 a Livorno, dove vive e lavora. Nel tempo libero ama leggere e scrivere. Al premio Vespa chi scrive 2023 si è classificata quarta con il racconto Come rondini. La sua prima raccolta di racconti è Sofia, trama e nodi (Valigie Rosse).
Un racconto di Andrea Tani
Numero di battute: 2444
La signora del banco è stata gentile, mi ha consigliato il neonato più fresco, quello che secondo lei darà più sapore allo stufato. È un bel pezzo di carne di quattro chili e tre, col cordone gonfio e una piccola protuberanza sul collo. I vagiti sono squillanti e il sangue placentare gli cola sullo sterno. Con le mani unte di frattaglie, la donna me lo avvolge nella carta gialla, quella delle frittelle.
Una volta a casa lo stipo nel frigo e mi tolgo le scarpe. «Sta bene, signore?» sento nell’aria, ma sono gli spifferi della finestra. Sul pavimento un cordone molliccio pulsa senza più la membrana. Si trascina fino in salotto e si avvinghia alla trachea di un bambino di circa quattro anni che prima non c’era. Le sue braccia provano a liberarsi da una morsa che gli lascia la nuca viola.
«È un bel pezzo
di carne
di quattro chili
e tre.
Mi riempio un calice di Sangiovese, mi siedo e lo guardo contorcersi tra i riflessi del vetro. Il suo corpo si squarcia, poi diventa plastico. Si allungano gli arti, la colonna vertebrale, si espande il torace. Ora ho davanti un adolescente incurvato con la pelle bianca e sottile, gli occhi scavati e i capelli come strappati dal cranio. Mugugna scomposto con la testa in un cappio di budella. Prova a salvarsi, ma l’alluce tocca appena la sedia. Mi avvicino e la scalcio via. Rimane sospeso sull’osso del collo, poi si accorge di me. La sua bocca è un grumo di bava.
Non ho il tempo di capire l’orrido che mi circonda. Una mano adulta mi trascina via. È un uomo senza muscoli né postura, avvinghiato a ciò che resta di viscere ormai imputridite. Mi porta a una finestra e la spalanca. L’altezza è spaventosa, non ha fondo né prospettiva. Mi dice: «Buttati con me, finiamola qua». Nei suoi occhi non vedo la morte, solo uno stato di coscienza profondo e familiare.
Sto per saltare, ma dalla porta di casa entra la signora del mercato, apre il frigorifero e tira fuori il neonato. Lo sfila dalla carta gialla, gli cava il bitorzolo marcio dal collo e lo posa sulla bilancia: «Quattro chili e due, va bene?». Di colpo i miei occhi ritornano al loro posto e di fronte ho di nuovo il banco della verdura, accanto a quello della carne.
L’aria mattutina del molo si riempie di tendoni e colazioni all’aperto. Sto per diventare padre e a casa non si parla d’altro, ormai. La signora ripone la zucca nella cassetta e dice: «Tutto a posto? Le dicevo che questa è ammaccata, se vuole gliene do un’altra», e io: «Non fa niente, signora. Mi è passata la fame».
Andrea Tani nasce nel 1974 a Grosseto. Dal 2020 si dedica alla narrativa e pubblica i suoi racconti su diverse riviste, tra cui Open Doors Review, Yanez Magazine, «inutile», Bomarscé, Eterna e Risme. È tra i finalisti del Premio InediTO nelle edizioni 2023 e 2024 ricevendo in quest’ultima una Menzione speciale con La consistenza del sangue. Sempre nel 2024 pubblica sulla rivista L’Appeso e Narrandom. Ama scrivere nei cambi di stagione.
Un racconto di Rudi Capra
Numero di battute: 1752
Ero di fretta, mancava mezz’ora alla riunione e dovevo attraversare tutto il centro, proprio stamattina le doveva venire il ciclo, piegata in due dal dolore e tutte le commissioni le ho dovute fare io, e spesa e lavanderia e farmacia e asilo, più lo sciopero dei mezzi e quel camion di merda rovesciato in tangenziale, risultato: arriverò in ritardo alla riunione per cui Stella si è raccomandata, ha detto, Sarebbe la terza che buchi dall’inizio di quest’anno, ha detto, La tua presenza è della massima importanza, ha detto, Non deludermi.
Sarei stato comunque impresentabile con questo caldo assassinante, quando ho parcheggiato di traverso dove non c’erano le strisce avevo già sentivo le pezze sotto le ascelle e nella schiena, il Nilo mi colava dalla fronte, era sceso un delta tra i peli del petto, e di fianco all’ingresso un motorino aveva la ruota anteriore fusa con l’asfalto, aveva scavato la sua forma nel bitume, ero in ritardo di ventotto minuti e quando sono entrato madido, paonazzo, scusandomi davanti a tutti, Stella ha piantato i suoi occhi su di me come due chiodi e sono rimasto accanto a lei, crocefisso sulla sedia girevole davanti al sorriso pietoso dei clienti giapponesi, con la vetrata spalancata sul parcheggio che ribolliva come un pentolone, i tettucci arroventati delle auto che risplendevano come braci nel fuoco pallido del mezzogiorno.
«La tua presenza è della massima importanza,
ha detto,
non deludermi.»
Ma la parte peggiore è stata a fine giornata, alle cinque il sole era ancora alto e non avevo più sudore da sudare, quando mi sono avvicinato all’auto ho capito cosa era successo, il capannello di gente intorno aveva rotto il vetro ma il corpicino era già immobile da tempo, ancora legato al seggiolino e l’ufficiale ha chiesto se ero io il genitore e io ho detto solo, Ero di fretta.
Rudi Capra è ricercatore in Filosofie dell’Asia orientale e critico cinematografico, attualmente a Torino. Ha diverse pubblicazioni all’attivo e due monografie, una sul pensiero interculturale e una sul cinema di Nicolas Winding Refn.
Suoi saggi e racconti sono apparsi anche su L’Indiscreto, Risme, Singola, Digressioni, Le parole e le cose.
Un racconto di Ilaria Tedesco
Numero di battute: 2446
A settembre avrei dovuto iniziare Giurisprudenza.
«Ci darà soddisfazioni» era solito ripetere mio padre. Col tempo, poi, i colleghi hanno iniziato a guardarmi storto e la mano sulla spalla si è fatta più pesante.
All’inizio mi piaceva stare in mezzo a quegli scaffali. Da piccolo per esempio mi divertivo a inseguire date e timbri sui fascicoli polverosi, a lisciare il dorso dei libri col dito. Mio padre scambiava quei giochini matematici per curiosità finendo per leggermi quelle che credevo incomprensibili storie numerate da tomi presi a caso. «Un giorno imparerai tutti gli articoli» mi diceva, «perché sei intelligente.»
Quando iniziai a leggere quei codici, invece, non ci capivo niente. Troppe virgole. Con i numeri era diverso. C’erano le centinaia-decine-unità virgola i decimi-centesimi-millesimi. Se persino qualcosa di trascendente come il pi greco ne aveva una sola, il problema doveva essere del legislatore. «Sei intelligente, devi imparare a stare al tuo posto» mi disse. Fu l’unica vola che glielo feci notare.
«Ce la farà,
non vedi che è intelligente?»
La prima litigata avvenne in prima liceo. Una questione condominiale: articoli mille centodiciassette, mille centoventiquattro e mille centotrentasei. Lui spiegava e io vedevo solo tre punti con la stessa ordinata per i quali passava una (e una sola) retta. «E l’articolo mille centoventinove?» chiesi spaesato. «Non ci riguarda» rispose. Disegnai allora un piano cartesiano mostrandogli come la retta passasse anche da lì. Mio padre alzò gli occhi al cielo urlandomi di restare nel mondo reale. Ma quello non era un asse immaginario, restavo persino bidimensionale. «Sei intelligente, perché non usi parole?» mi implorò. Ma quelle che usava lui io non le capivo.
La notte di cinque mesi e sette giorni fa origliai alla porta della stanza da letto. Mia madre piangeva, diceva che non mi aveva dato scelta. «Siamo avvocati da generazioni» rispose mio padre. «Chi porterà avanti l’attività, sennò?» Poi la rincuorò: «Ce la farà, non vedi che è intelligente?».
Fu allora che decisi di fare la cosa più stupida che mi venne in mente: diedi fuoco allo studio.
A pensarci bene avrei potuto essere un filino più intelligente, avrei potuto consultare prima il codice penale. Ma come ho detto, quei tomi mi erano ostici: troppe virgole, poche rette. Mi sarei perso nei calcoli.
A settembre dunque non inizierò Giurisprudenza. Magari tra quattro anni, quando esco. Sempre che mio padre mi consideri ancora intelligente, chissà.
Ilaria Tedesco, campana, ha studiato Economia. Si occupa di cooperazione internazionale e progetti di sviluppo rurale. Dopo aver girovagato qua e là, ora vive a Monaco di Baviera. Ha frequentato la scuola di scrittura Belleville e il suo primo romanzo è uscito dal cassetto.
Un racconto di Simone Ghelli
Numero di battute: 2407
Da farfallon69@hotmail.com
A dariogarbaglia@gmail.com
giovedì 9 luglio 2020, ore 11.41
Oggetto: note al capitolo terzo
Caro Dario,
ho appena finito di leggere il materiale che mi hai mandato. Devi perdonarmi per la lunga attesa, ma come sai dovevo consegnare le bozze del mio ultimo libro e poi c'è stata la pandemia e non potevo non aggiungere almeno una riflessione sulle ricadute da un punto di vista economico e su quelli che saranno i cambiamenti nelle abitudini degli spettatori.
Sono dell’idea che il capitolo tre possa andare, anche se in alcuni punti trovo l’analisi troppo spinta (nel file allegato puoi vedere i miei interventi e le modifiche che ti suggerisco). Sarò franco: a me i continui rimandi alla filosofia (a certi filosofi, soprattutto) risultano un po’ indigesti.
L’università non è più quella di quindici anni fa, i lettori (e gli studenti, in particolare, che sono i nostri principali lettori) non vogliono cose troppo complicate. Io ormai a lezione devo fargli gli schemini come a scuola, persino le note sono diventate una zavorra che piace solo ai comitati di valutazione. Il mio consiglio è di arrivare al punto per le vie più dirette, senza troppi giri di pensiero. Le pose da intellettuale non le vuole più nessuno, qui in dipartimento meno che mai. Anzi, sono proprio viste come qualcosa di inopportuno.
«Le pose da intellettuale
non le vuole
più nessuno.»
Perdonami ancora per il ritardo e per la franchezza, che potrebbe sembrarti eccessiva, ma devo ragionare nell’ottica del tuo bene. Se vuoi fare carriera, devi metterti in testa che oggi è l’utente che decide, e l’università, per restare aperta, ha bisogno di iscritti. Siamo entrati nel mondo della domanda e dell’offerta e ormai non si torna più indietro. La grossa sfida è riuscire a non abbassare troppo la qualità, ma su questo punto non ho niente da insegnarti. Tu sei il nostro Serge Daney, il nostro jeune turc in maniche di camicia!
Sappi che vorrei avere solo la metà del tuo idealismo.
Saluti e abbracci dal tuo tutor,
Vincenzo
P.s.: mettici dentro anche qualche film recente, qualcuno di quelli che vedono anche le matricole (anche le commedie un po’ sceme, i format riadattati dall’estero) perché se poi vuoi farci un libro dovremo inserirlo in qualche corso, no? So che sei uno puro, ma questo è un mondo in cui purtroppo dovrai sporcarti. E ancora non hai visto niente. Lo studio per lo studio è finito da un pezzo, fattene una ragione adesso che sei ancora in tempo.
Simone Ghelli ha pubblicato in passato un paio di romanzi brevi e alcune raccolte di racconti, tra cui Non risponde mai nessuno (Miraggi, 2017) e La vita moltiplicata (Miraggi, 2019). Suoi racconti sono comparsi anche in varie raccolte e su alcune delle principali riviste letterarie italiane. I suoi ultimi libri sono la novella Ronnie Banti ha perso la scommessa (Divergenze, 2022) e il romanzo Bianco su bianco (Castelvecchi, 2023).
Un racconto di Marta Barattia
Numero di battute: 2146
Luigi è seduto nell’ingresso quadrato, sprofondato in una poltroncina magra, le palpebre pesanti semichiuse dietro la spessa montatura in bachelite nera, le pantofole di panno, il gilet di lana. La pelle delle mani è trasparente, quasi azzurra.
«Facciamo due passi, è una bella giornata» dice Egle sfiorandogli la spalla.
«Non posso, aspetto una telefonata.»
«Una telefonata. E da chi?» chiede Egle.
«Una ragazza» dice Luigi, e gli si spalanca una fessura negli occhi e una identica schiude le labbra in un sorriso.
«Capisco» dice Egle, «allora uscirò per conto mio.» Infila il cappotto di cammello, si aggiusta i capelli sotto la cloche color cipria e scivola fuori dal portoncino.
Silenzio.
Trascorrono alcuni minuti, poi il telefono squilla.
«Non posso, aspetto una telefonata.»
Luigi si accende, solleva la testa, afferra la cornetta grigia dell’apparecchio posato sul tavolino lì a fianco e risponde. Ascolta. Annuisce. Ride. «Certo, certo» dice. «Al solito posto» dice. «A tra poco.» Poi riattacca. Scavalla le gambe per appoggiare entrambi i piedi a terra, piega i gomiti, spinge sui braccioli. Si smuove appena, incredulo.
La serratura scatta nuovamente ed è subito il provvidenziale ticchettio delle décolleté di Egle, il suo profumo al mughetto.
«L’appuntamento!» dice Luigi. «Si sbrighi, mi dia una mano!»
«Anche oggi ha ricevuto quella telefonata, allora…» dice Egle, e senza nemmeno sbottonare il cappotto si china a infilargli le scarpe che stavano già pronte lì a fianco. Un gettone del telefono le scivola fuori dalla tasca: tintinna, rotola sul pavimento di graniglia e si ferma muto contro le pattine, accanto al portaombrelli. Luigi si aggrappa al braccio di Egle, si solleva; escono insieme.
L’ascensore scende sferragliando al piano terra. Fuori il sole del pomeriggio bagna appena il marciapiede, nei viali del parco le foglie scricchiano sotto i loro passi lenti. Luigi ha il respiro sottile.
«Allora mi dica, signor Luigi. Chi è questa ragazza?»
«È Egle. La mia Egle. Ormai è quasi un anno che ci parliamo. Mi aspetta alla panchina vicino alla fontana. Non voglio far tardi, è già quasi il tramonto.»
«Siamo partiti per tempo; facciamo ancora un giro, camminare le fa bene.»
Marta Barattia (1977) è nata e vive a Torino. Sa da sempre di voler scrivere, perciò è brillantemente riuscita a non farlo per moltissimo tempo. Da vent'anni il suo non-vero-lavoro è insegnare il teatro a bambini e ragazzi condividendo il suo non-dignitoso-stipendio con un marito, due figlie e un cane. Non ha mai superato la prova costume.
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