Un racconto di Pietro Vizpara
Numero di battute: 2490
Come quella volta che Miriam, mia figlia, era andata a scuola senza zaino e nessuno se n’era accorto finché non era arrivata in classe e la maestra l’aveva spedita in presidenza a chiamare mia moglie per dirle di portare lo zaino.
Ma mia moglie era già in ufficio, con il capo che le dava la sua solita strigliata mattutina su come redigere un bilancio, così mezz’ora dopo mia figlia ha chiamato me, che in quel momento stavo trafficando con un prosciutto che non mi riusciva di tagliare, l’avevo detto che non me la sentivo di andare nel reparto gastronomia io che avevo passato gli ultimi dieci anni della mia vita in cassa, però questo è un piccolo supermercato, mi era stato detto, devi saper far tutto e anche se non lo sai fare devi imparare in fretta, chiaro?
Non avevo dubbi, dovevo accettare, mia moglie era in maternità, i risparmi erano finiti, serviva un lavoro, qualunque lavoro, altrimenti avrei dovuto cominciare a rubare nei supermercati – proprio ciò a cui stavo pensando quando ho visto il sangue sporcarmi il grembiule e qualche goccia finire sul tagliere e i clienti voltarsi inorriditi verso Fabio che in quel momento stava riponendo negli scaffali del banco frigo gli yogurt e che quando ha visto quello che stava succedendo è corso da me.
Vai subito a medicarti e inventati una scusa per andare a casa, mi ha detto, la scusa ce l’avevo bella e pronta sul cellulare, mia figlia aveva bisogno dello zaino e io dovevo andare a casa, scusatemi, lo dite voi al capo, vero?
«Devo lasciare questo zaino per mia figlia.»
Andavo così di fretta che non mi sono accorto di avere i polsini della camicia imbrattati di sangue, la gente si scansava per farmi passare, pensavo lo facessero per la mia faccia spaventata, mi piaceva l’idea di essere compatito, che qualcuno potesse dire guarda quello, chissà cosa gli sarà successo per avere il terrore stampato in faccia.
Sono arrivato davanti a scuola che per poco non mettevo sotto un podista sovrappeso che correva con gli occhi puntati sullo schermo dell’orologio, ho tirato un pugno al volante e nel farlo mi s’è riaperta la ferita, ho preso lo zaino e quando mi sono presentato in segreteria non mi hanno fatto entrare, attraverso un vetro mi hanno detto di attendere e così ho fatto.
Devo lasciare questo zaino per mia figlia, ho cominciato a sbraitare, chinandomi verso il vetro. Poi a un certo punto mi sono sentito tirare per un braccio, era mia figlia. Dove hai messo la testa, papà? Questo è il tuo zaino, il mio me l’ha portato mamma dieci minuti fa, non lo sapevi?
Pietro Vizpara (1978) è nato a La Spezia, dove vive e lavora. Alcuni suoi racconti sono apparsi su riviste (FaM, Ellittico, Il Colophon, Squadernauti) e su antologie (I nostri ponti hanno un’anima, voi no, Fazi Editore, 2007).