Un racconto di Chiara Araldi
Numero di battute: 2500
Nel centro di Mantova c’è un piccolo bar, con i tavolini di ferro che come un ingranaggio spanato si spampanano sui ciottoli della piazza Broletto. Questo bar – gestito da sempre dalla famiglia Lasagna – ha ospitato tante storie, alcune familiari, altre comunitarie, altre ancora di stranieri che a volte ci si son trovati come a casa. Quasi nessuna, però, è mia da raccontare.
Quello che mi spetta dire è che il vecchio Lasagna Attilio di mestiere faceva il pugile, quando ancora c’era il duce, con risultati eccellenti. Di questa attività restano: i ricordi negli occhi di chi è ancora vivo, un attestato rilasciato in occasione della vittoria del titolo di campione nazionale e ovviamente il famoso drink, perfetto in ogni occasione nel suo essere perfettamente imbevibile.
Ma forse è che a me non piace il vermouth.
In ogni caso, come memoriale del compianto Lasagna Attilio, le autorità hanno installato sui vecchi ciottoli della piazza antistante il bar un ring di misura regolamentare, e tutte le persone si son coagulate a riempire gli spazi per guardare giovani uomini ferirsi ripetutamente e saltellare, respirando forte.
«Io non capisco la boxe, ma dicono che ci sia della poesia dentro.»
Io non capisco la boxe, ma dicono che ci sia della poesia dentro, così sono rimasta appoggiata alla ringhiera e pur facendo fatica ho continuato a guardare, come i bambini davanti ai film di paura, incasellata, mentre i sostenitori di Piero, il contendente locale, gli urlavano dagli angoli di portare il pisano alle corde, non farlo legare e molte altre cose di grande importanza che tuttavia non posso ricordare, non avendone colto pienamente il senso. Tra una ripresa e l’altra camminava sul tappeto una ragazza in costume e tacchi veramente molto alti, miss Melissa o Melania, probabilmente miss presso se stessa. In ogni caso bella, s’è detto.
Alla fine Piero ha perso ai punti, ma se n’è andato comunque tra gli applausi, anche perché il pisano era decisamente più tonico, e aveva una spalla tatuata con un tribale, quindi credo che a lui e a tutti gli altri sia anche andata bene così.
Ho dunque archiviato la boxe tra le cose che non posso approfondire, e ho pensato che ci sono tante altre cose che non posso approfondire, perché mi tribolano il cuore o mi rifuggono, tra le quali ovviamente ci sei tu, l’attività comunicazionale di Matteo Renzi e il procedimento di distillazione del Pugile.
Ma in fondo, quello che non ha senso per me è poesia per qualcuno. Ed è sempre opportuno affacciarsi alla vita insieme a chi trova poesia in ciò che per noi non ce l’ha.
Chiara Araldi (1983) vive nella piccola città di Mantova, dove è nata il giorno del suo onomastico. Dice sempre di volersene andare, ma non si sa bene dove. È un poeta, un genitore, un avvocato. Ha pubblicato la raccolta di poesie P.I.N.D. Poetry is not dead (diversamente dal punk. A quello occorre dire addio) (La Gru, 2018).