Un racconto di Riccardo Meozzi
Numero di battute: 2497
L’amore finì quando un amico ci parlò di convivenza e Giulia mi scostò la birra dalla bocca, che colpì le gengive e tagliò la carne. Persi un po’ di sangue, e per qualche minuto non parlai.
In bagno, mentre mi tamponava la bocca con un asciugamano, Giulia disse che avevo bevuto troppo. Mentre lei continuava a parlare e premeva la stoffa sulla carne viva io guardavo la parete. Sentivo il piacevole formicolio del dolore e quello alla punta delle dita, quando l’alcol è in circolo ma non fa ancora biascicare.
Mi sforzavo di ascoltare le sue ragioni.
«Finiscila con le sbronze del sabato. Non sei un sedicenne.»
«Ma no amore, non sono ubriaco.»
Giulia continuò a premere, ma non parlava più. Era meglio il silenzio piuttosto che portare avanti una serie di rimproveri sempre più sbiaditi. Aveva un buon profumo, lo stesso da un anno, che teneva in una boccetta sopra il comodino e che non mancava mai di indossare. Le donne adulte le riconosci dal profumo, pensai, come gli uomini che hanno appena bevuto.
«Nessuno conosceva questa storia, neppure Giulia.»
Quand’ero bambino un’amica di mia madre aveva sposato un alcolista. Mia madre le voleva bene, e le prometteva di andare a trovarla. Quando usciva per andare dall’amica diceva a mio padre che era per una buona causa, che non voleva farla sentire sola. A quel punto entrambi scuotevano la testa, dicevano che l’amica era una poveretta, e che essere un alcolista ti trasforma in un mostro. Rimasto solo con mio padre, poi, vibravo di paura per mia madre, così sicura e tranquilla nell’avventurarsi nella tana del mostro. La sua pietà mi lasciava perplesso.
Una volta mia madre mi portò con sé. Avevo sette anni, mio padre era a Vienna ed era inverno. Ero terrorizzato, e le tenni la mano per tutto il tragitto. Quando entrammo nella casa dell’alcolista sua moglie ci fece accomodare e mi mise in mano un Game Boy. Era sola, e abbracciò mia madre. Per un po’ mi concentrai sulle loro chiacchiere, ma alla fine persi interesse e giocai.
Quando il marito della donna entrò sobbalzai e mi venne da piangere. L’uomo, più piccolo di mio padre, baciò mia madre sulle guance e si avvicinò alla moglie.
«Come stai?» gli chiese lei. «Va meglio?»
Lui le sorrise e si sedette con loro. Parlarono come fanno gli adulti in presenza dei bambini, abbassando la voce e incurvando le spalle.
Nessuno conosceva questa storia, neppure Giulia, che rimaneva in silenzio. Dopo qualche minuto tolse l’asciugamano e diede un’occhiata alla gengiva. Aveva l’aria indifferente, e mi decisi a contare fino a tre.
Uno, due, tre. Fine.
Riccardo Meozzi (1994) è nato a Città di Castello. Studia Italianistica all’università di Bologna, dove vive. Suoi racconti sono usciti nell’antologia La Paura (Autodafé edizioni) e nelle riviste L’Irrequieto e Verde.