Un racconto di Ida Amlesú
Numero di battute: 2065
Questo racconto è stato originariamente pubblicato in persiano, sull’ultimo numero della rivista iraniana Dastan Mag.
Quando il telefono squillò, il signor Arminio era seduto davanti a un tavolo e pensava. Pensava, nell’ordine, all’America, intesa come continente e non come nazione, ai cani da tartufo, agli idraulici, alle svedesi purché molto bionde, a certi tramonti che si vedono solo dal lungomare, al suffragio universale, e in ultimo all’arrosto con patate che lo aspettava nel forno, gentile omaggio del reparto cibi pronti del supermercato.
Se avesse risposto, avrebbe forse dato inizio a una conversazione così.
Pronto.
Chi parla?
«Chi parla?»
Parlo io. Sono io. Oggi è il sei aprile 1955. Siamo seduti su una panchina e pensiamo che il mondo è troppo piccolo e troppo grande, e che le nostre forze basteranno a vincerlo. Il sole batte su una vetrina e disegna cose e colori che non esistono. Ma quella vetrina noi non la vediamo. Abbiamo un’età che non è la nostra e ci capiamo guardandoci, senza una parola. Siamo giovani e non sappiamo che tutto finirà non nel peggiore, ma solo nel più banale dei modi. Mi hai comprato un ciondolo che non rappresenta nulla, e a me piace. È come se ancora io non avessi un nome: non c’è bisogno di chiamarmi. Sono sempre dove tu sei. E tu con me. Non partirai, non te ne andrai, resterai qui con me come promesso. Non incontrerai nessun altro amore, nessuno ti chiamerà mai per nome. Resterai innominato come io ti ho fatto, e il tuo nome sarà solo: amore. E anche il mio.
A che serve dire chi parla. Non abbiamo nome, perché non ce ne siamo mai andati. Siamo ancora lì, su quella panchina, in quel sei aprile 1955, di fronte a una vetrina muta che si riempie di forme e colori che non esistono. Siamo seduti e pensiamo che il mondo, questo fottuto schifoso mondo, è troppo piccolo e troppo grande e non basterà una forza erculea per domarlo e vincerlo.
Sei tu. Sono io. Parlo io.
Ma il signor Arminio non rispose. Il signor Arminio stava pensando all’America, ai cani, agli idraulici, alle biondissime svedesi, a quei tramonti impossibili in qualunque luogo che non sia il mare, e alle patate, unico grande amore di quel pezzo di arrosto da supermercato.
Ida Amlesú (1990) è nata a Milano, ha vissuto tra Milano, Parigi e Mosca, dove lavora attualmente come insegnante. Laureata in Filologia Slava e Letteratura Russa, si è dedicata per anni al canto lirico. Suoi racconti sono apparsi sul blog Piazzaemmezza, sulle riviste Nuovi Argomenti e Colla, sull’antologia Ypsilon Tellers (Feltrinelli, 2015). Con il suo romanzo d’esordio, Perdutamente (Nottetempo, 2017), ha vinto il Premio Salerno. Alcune sue traduzioni sono apparse su Nazione Indiana e Nuovi Argomenti.