Un racconto di Valentina Cela
Numero di battute: 2499
Ammazza un mosquito che voleva azzannarle il polpaccio destro. Un liquido giallastro e appiccicaticcio le cola sulla mano. In momenti così Anna vorrebbe essere ancora a casa, a crogiolarsi nella comoda esistenza di miliardaria sessualmente attiva.
Il fiume scorre come la vita; la guida è un indigeno sparuto, un torsolo d’uomo che la sta pagaiando verso la capanna di uno stregone voodoo per accaparrarsi il tesoro di famiglia, nell’oro liquefatto del sole che si scioglie nel canale come un formaggino nel brodo. Tesoro di famiglia, aveva scritto il magnate prima di spirare, sfidando la sua unica, ottusa figlia a sbrogliare un enigma che forse non c’era, stravolgendo le righe conclusive del testamento che le avrebbe assicurato il proseguimento di una vita privilegiata inondata da qualche miliardo in più. Il notaio l’aveva spedita nei recessi dell’Amazzonia a caccia del fantomatico stregone tesoriere che aveva popolato i deliri premorte di suo padre.
“Parto per ritrovare me stessa”: che scusa del cazzo da propinare come scopo del suo viaggio. Anna non si era mai trovata proprio niente dentro di così importante da dover essere ritrovato una volta perso. Lo spessore intellettuale di una sogliola.
«Tesoro di famiglia, aveva scritto
il magnate.»
La vegetazione a misura di pachiderma, che palpita attorno alla barca debordando dalle rive, è un grumo di verdura marcita e viscosa che fa da ostello a una moltitudine di bestiacce sporche, irsute, virulente. D’un tratto, l’Uomo Torsolo strabuzza gli occhietti iniettati di capillari, arresta a mezz’aria il remo strascicandosi dietro un groviglio di alghe miasmatiche, lancia un grido. Quanto basta per spaccare i timpani di Anna, che in uno svolazzo annoiato di capelli biondi si alza e mette a fuoco la scena. L’Uomo Torsolo, rannicchiato dal terrore, sussurra qualcosa nella propria lingua e fa per tirar dritto così veloce da ammaccare il muso di un coccodrillo con una vogata. Anna si friziona nervosamente le braccia con l’antizanzare per impedirsi uno svenimento. Affossata nella panca di legno, fissa sgomenta lo spettacolo che le offre, pochi metri più a sinistra, la riva.
La Morte l’aveva sfiorata appena in vent’anni di vita, e ora tutta di un colpo le si era abbattuta contro. La morte di papi era stata come il trascurabile sketch di riempimento nella trama non più tanto accattivante di una soap. Là, invece, tra le frange melmose del fiume, un uomo vestito di piume con un buco enorme tra i deltoidi schizza sangue contro il fogliame verde sul quale è orribilmente riverso.
Valentina Cela (1995) è nata a Foggia e vive a Roma. Si è laureata e studia Filosofia alla Sapienza, ogni tanto recensisce mostre d’arte e per tre volte non ha vinto il premio Campiello Giovani.