Un racconto di Umberto Morello
Numero di battute: 2392
«Chi vede solo la propria notte rischia di amare una luce qualsiasi.»
Visto che alla frase ci credevamo, abbiamo deciso di mettere su qualche prova, giusto per tenerci aderenti alla realtà. E perché tutto funzionasse, abbiamo stabilito anche che ci serviva un albero. Ma non un faggio, un frassino, un pioppo o un cipresso. Un alberello standard, uno di quelli da cartone animato e che nella vita vera si notano appena; perché tutte le cose troppo particolari coltivano un cuore caotico, e non vengono bene se uno vuole dei campioni accurati.
Così siamo partiti all’una di notte, e dalla collina abbiamo sradicato il più comune degli arbusti. Tronco, rami e chioma perfettamente anonimi. Eccetto che alla luce ci siamo poi accorti di aver tirato via un arboscello pieno di fori.
Ci dispiaceva, ma era inutile tentare un alt. La foto di mamma ci fissava dal cruscotto dell’Ape 50, noi eravamo coperti di terra e in ogni buco della sua corteccia si erano già infiltrati i nostri sentimenti.
«Quest’albero siamo noi» dicevamo tutti.
Quindi siamo andati avanti e lo abbiamo piantato in salotto, fra il sudore e le mattonelle. Noi, lo chiamavamo.
«Che dovrebbe fare un albero
in pigiama?»
Sotto il pigiama, avevamo gli stessi strati di pelle, sia noi sia l’albero, e anche se per lo zio eravamo scemi ad aver piantato un albero nel nostro bilocale; a noi continuava a sembrare che così si dovesse fare. Abbiamo tagliato e limato i rami primari, e poi quelli sotto, infradiciando il tronco con una resina che pare facesse bene alla malattia dei fori. Poi, quando si è sentito meglio, lo abbiamo vestito come noi.
«Che dovrebbe fare un albero in pigiama?» chiedeva lo zio. E anche se non soffriva del tutto, lo si sentiva che non gli faceva affatto piacere vederci, noi e l’arbusto, in quello stato.
«Amare» gli abbiamo risposto tutti e tre, facendoci l’eco a vicenda.
«E?» insisteva a metterci alla prova lo zio.
«E non lo sappiamo. Bisogna aspettare e capire se ci ricambia» ha risposto il più ossuto di noi, ma difendendo le ragioni di tutti; e allo zio quella risposta non era piaciuta.
Persone come lui, come lo zio, si tengono i mali del mondo fra polmone e polmone e fingono che non costi nulla respirare. E però non era vero. Così quando s’è rubato Noi per ripiantarlo in collina, glielo abbiamo detto che se lo aveva fatto, era per amore; che anche dentro al suo buio, ci si poteva innamorare di una luce qualsiasi. E di ridarci l’albero.
Umberto Morello (1993) è nato a Genova. Studia Brand Storytelling alla Scuola Holden e Comunicazione e culture dei media all’Università di Torino. Da quattro anni lavora come ufficio stampa e consulente. Ha pubblicato racconti sulle riviste Neutopia e Tuffi. Nel 2018 ha vinto il concorso di poesia Lorenzo Montano per Opera Inedita e il premio della critica Bocconi di Inchiostro. Il suo unico libro è la raccolta di versi Nuvolas (Anterem 2018).