Un racconto di Maurizio Minetto
Numero di battute: 2474
«Ho giocato a poker coi cannibali. Per fortuna ho perso solo una mano.»
Me la raccontò appena ci conoscemmo, mostrandomi il moncherino. Poi scoprii che ne sapeva parecchie, tutte allegre come la sua faccia, immobile, lunga, emaciata. Sembrava che non ci fossero abbastanza muscoli per le espressioni.
Forse era di quelli che ridono con gli occhi. Sempre se ti andava di cercargli il sorriso negli occhi dopo un’uscita del genere. Io stesso li avrò incrociati una decina di volte al massimo e non credo di avercelo mai trovato, un sorriso vero e proprio. Tipo quando lo vidi fissare sul giornale la foto di un campo di prigionia israeliano, Umm Khalid mi pare, e c’erano uomini e ragazzi nudi in fila, con le guardie armate intorno, e un virgolettato diceva “adulti e bambini venivano dal kibbutz a guardarci nudi e ridevano”.
Spiccava una ragazzina che rideva di un coetaneo palestinese. E lui sospirò e disse: «Be’, a volte da cosa nasce cosa». E mi rivolse la sua faccia smorta, e uno sguardo che era tutto il contrario. Sbalordito direi. Come quello di un bambino che ha visto un trucco di carte. Non capii se era così che guardava la gente, o se lo fece apposta: ebbi l’impressione che mi scimmiottasse.
«Be’, a volte
da cosa
nasce cosa.»
Quando fui assunto, non so perché scelsi una delle scrivanie vuote accanto alla sua.
Vestiva sempre di nero, aveva sessant’anni, niente famiglia eccetto «un’ex moglie e un ex fratello», così disse, ma risaliva a prima della guerra; aveva perso la mano trent’anni prima in Francia, nel campo di concentramento di Natzweiler (e non ha mai aggiunto più di questo, né gli ho mai domandato altro), comunque era «singolarmente abile a scrivere a macchina», come diceva lui (ed era vero); soffriva di reflusso gastrico, fumava un pacchetto al giorno di sigari Ambasciator Italico alla liquirizia, e amava i libri di Ring Lardner. Me ne prestò pure uno: Prima di sposarti ero molto più in forma. Ce l’ho ancora.
Alle spalle, i colleghi lo chiamavano in diversi modi. Uno era “Allegria”. E non è che avessero tutti i torti. Il giorno che andò in pensione stappò una bottiglia di Franciacorta e raccontò questa: «Un comico ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento muore di vecchiaia e va in paradiso, e appena incontra Dio, gli racconta una barzelletta sull’Olocausto. Dio lo rimprovera: “Non c’è niente da ridere”. E l’ebreo risponde: “Dovevi esserci”».
Ecco, se fosse stato un clown sarebbe stato uno di quelli tristi. Al funerale nessuno si fece avanti per dire due parole.
Maurizio Minetto è nato a Roma nel 1978. Ha pubblicato racconti sulla rivista inutile e sulle antologie di alcuni concorsi letterari, tra cui il Premio Giovane Holden 2017. Nel 2019 ha vinto il Premio Zeno nella sezione racconti lunghi.