Un racconto di Caterina Bonetti
Numero di battute: 2483
«Non dovresti bere in questo modo, sei ridicolo e ti fa male al cuore.»
Cosa vuoi da me? Cosa diavolo vuoi ancora tu, che mi hai lasciato?
Salgo le scale aggrappato al corrimano, il fiato che si accorcia.
Chiudo la porta di casa alle mie spalle. Ho girato il chiavistello?
Il cane mi corre incontro, mi annusa, si allontana rinculando, zampa a zampa, come se avesse visto un fantasma. Sfilo le scarpe con un movimento secco punta-tacco: ho bisogno di un bicchiere d’acqua.
«Vedrai domattina.»
Scanso le parole come se fossero zanzare.
Hai altro da aggiungere?
Il tappeto del soggiorno è morbido sotto i miei piedi e mi lascio scivolare in basso. Ho sonno, molto sonno, chiudo gli occhi giocando con la mano con i peli del tappeto.
Come facevo con i tuoi ricci, ricordi?
Mi sveglia la lingua del cane, la puzza di pesce andato a male. La sveglia segna le quattro e venti, mi formicolano le piante dei piedi.
Chi lo dice che quando crolli fiaccato dal bere ti addormenti in pace, per svegliarti solo sul mezzogiorno con un tremendo mal di testa?
«Mi sveglia
la lingua del cane.»
Il cuore corre veloce e non riesco a frenarlo.
«Se tu avessi seguito il corso di yoga che ti avevo consigliato…»
Provo con le tecniche di rilassamento: le mani sull’addome, sollevo pancia e spalle, riempio i polmoni senza trattenere il fiato. Inspiro lentamente, faccio fluire il respiro. Ma come proseguiva?
Il cuore non rallenta, fa molto caldo: scosto la trapunta, non so come, ma sono nel mio letto.
La maglietta è pulita, sollevo un braccio che sa di bagnodoccia. Il profumo mi culla e quando riapro gli occhi sono le sette del mattino. Afferro il telefono sul comodino e cerco fra le foto.
L’angolo di un marciapiede di via Pisacane, 23.10, l’insegna sfocata della panetteria di via Viotti, 23.34, il portone di casa, 00.46. Quando tutto sfugge al controllo lascio dei sassolini lungo la strada, per ritrovarmi.
«Che pena mi fai. Ancora a cercare di mettere insieme i pezzi, alla tua età.»
Se solo tu non mi avessi lasciato solo.
Il tempo fra gli scatti mi rassicura: non posso aver fatto nulla di male. Richiudo gli occhi.
Mi sveglia il profumo di caffè e una voce.
«Dài, tirati su, vieni a fare colazione.»
Mi guardi dall’alto, appoggiata allo stipite dalla porta. Non puoi essere tu, odiavi fare colazione, non la preparavi mai.
La ragazza porta la fede che avevi al dito, che ho al dito.
«Pensi di restare a letto tutto il giorno?»
Sotto le mani sento ancora i tuoi capelli, ma non riesco ad alzarmi dal pavimento.
«Sono felice che tu sia tornata.»
Caterina Bonetti (1984) vive a Parma, scrive per Gli Stati Generali ed è autrice di una monografia sull’attrice settecentesca Elena Balletti (Dell’Orso 2014). Ha partecipato alla stesura del Repertorio dei matti della città di Parma (Marcos y Marcos 2016, a cura di Paolo Nori) e alcuni suoi racconti sono apparsi o appariranno su Radici posterzine e Risme.