Un racconto di Federica Di Gloria
Numero di battute: 2481
Prendo le sigarette, dice, e con uno scatto del pollice aziona la freccia. Vedo il riverbero giallo sul guardrail di destra mentre la scritta “Dorno Est” mi schizza accanto. Imbocchiamo la rampa senza quasi rallentare, e il paesaggio lunare del parcheggio ci risucchia come una navicella di ritorno dallo spazio. Attendo uno schianto che non arriva.
Paolo scende e sbatte lo sportello, lo guardo sparire nell’edificio. Sembra una freccia, Paolo, una punta acuminata lanciata una volta per tutte contro un solo bersaglio. Un’unica traiettoria possibile, dritta, senza deviazioni né pentimenti.
Ora ad esempio sarei scesa con lui, se me l’avesse chiesto. Le coppie fanno così, scendono insieme in autogrill, entrano al bar e scelgono ciambelle di plastica dai nomi americani come se avessero nostalgia dell’Oklahoma, e c’è sempre uno dei due che tiene la mano tra le scapole dell’altro come una fiaccola nella giungla.
Paolo no, non mi chiede mai di scendere in autogrill. Che fare soste non gli piace, dice, che l’autogrill è roba da fessi. A cosa credi che servano tutte quelle caramelle, quei pacchi giganti di qualunque cosa? È così che ti fregano, dice.
«Le coppie
fanno così.»
A me piace, invece. E poi ho fame, e in autogrill fanno il Camogli, che solo a pensarci mi viene voglia di andare. Io poi neanche lo sapevo, che Camogli fosse un posto vero, che fosse un castello sul mare e che quel mare si chiamasse Paradiso, e quando l’ho scoperto ero già al liceo e mi sono sentita un’idiota. Ma quando sei ancora figlio non ti servono mappe e cartine geografiche.
Ci venivamo senza motivo, in autogrill, come si va a passeggio sul lungolago, a guardare lo spettacolo del mondo che passa. Mio padre mi lasciava curiosare da sola tra gli espositori, con la mia borsetta a tracolla, poi fingevamo di incontrarci per caso davanti al bar dove mi dava del lei ridendo e mi offriva il pranzo. Un Camogli per la signorina, per favore. Lo mangiavo in piedi, la fronte schiacciata contro la vetrata del ponte, a guardare le auto scivolare come biglie sotto le nostre suole, masticando sapore di altrove.
Paolo torna in auto e mette in moto senza guardarmi. Vorrei ricordarmi ancora la sua voce, ogni tanto. Telefonargli, magari. “Un giro a Camogli, papà?” E portarlo ancora qui, a Dorno Est, a contare biglie. E farmela spiegare bene, stavolta, quella storia assurda di uscite sbagliate, inversioni e vicoli ciechi.
Paolo accelera, io fisso lo specchietto retrovisore: l’autogrill ci si squaglia dentro in un secondo.
Federica Di Gloria (1974) è nata a Palermo, dove si è laureata in Lettere Moderne. Giornalista, nei suoi primi quarant’anni di vita si è divisa tra cronaca e letteratura. Oggi insegna Lettere in un liceo di Mantova, coordina una webradio studentesca, si occupa di libri e gruppi di lettura a scuola. Ha all’attivo due esperienze di scrittura collettiva: È la stampa, bellezze! (Leima, 2019) e Tina. Storie della grande estinzione (Aguaplano, 2020). Con un suo racconto ha vinto una borsa di studio per un corso della scuola Belleville. Nel tempo libero legge, scrive e ascolta metal.