Un racconto di Alberto Ravasio
Numero di battute: 2500
Un pomeriggio di pioggia senza ombrello andai a rifugiarmi in una storica biblioteca del centro, e già che c’ero, in mezzo a tutte quelle inquietanti cassettine cartacee, piccoli feretri di sapienza morta ma illustre, mi venne la voglia, un po’ sconcia, di provare a rispondere a quella famosa domanda ultima che l’uomo si pone da quando era ancora Adamo o una scimmia depilata:
Quel è il senso della vita nell’universo?
Con la tecnica della lettura olfattiva, una sfogliata e via, lessi i greci, sessualmente controversi, lessi i medievali, i primi a dirsi ultimi, e lessi i moderni, anche se a giudicare da certe parrucche a me parevano un po’ datati.
Non erano d’accordo su nulla, ma una cosa era certa: sembravano tutti così convinti, così autisticamente compulsivi nel ripetere il loro algoritmo, e allora, esausto, m’inventai un crampo metafisico e andai in bagno, a far finta di farla, ma solo per guardare le ragazze umanistiche, occhialate e salvifiche.
«Quel è il senso della vita nell’universo?»
E in quel momento, guardando loro che guardavano lui che le importunava, vidi per la prima volta il Fecis, animale mitologico della biblioteca, quarantenne bambino gigante, abbandonato dai suoi proprio lì, nel regno dei libri, perché, incapace di leggere e scrivere, sarebbe stato ulteriormente sabotato nel suo tentativo di ritorno a casa.
Fecis nella vita aveva un obiettivo, quello d’inviare una mail alla sua mamma, una mail che cominciava così: «Ciao mamma sono il Fecis», ma nonostante avesse segnato su un foglietto i due indirizzi mail, dalla mattina alla sera davanti al pc di servizio, col muso concentrato e paonazzo, commetteva sempre lo stesso errore capitale: confondeva l’indirizzo mail con l’indirizzo internet e lo scriveva, una lettera al minuto, nel motore di ricerca. Si cercava sul web e non si trovava, restava deluso e chiedeva aiuto alle ragazze, perché dei ragazzi aveva paura, loro gli spiegavano dove sbagliava, lui faceva sì con la testa vuota, ma sbagliava ancora, ogni giorno così, per il resto della sua sisifea vita d’infortunato mentale.
E pensai, mentre uscivo dalla biblioteca, perché ormai aveva smesso di piovere, che la vita di Fecis era una perfetta rappresentazione dell’uomo nell’universo. L’universo o dio o quello che è, guarda a noi come noi guardiamo al Fecis, pensando che sì, in effetti siamo abbastanza vicini al senso delle cose, ma alla fine moriremo senza aver capito nulla, e per quanto ci sforziamo, ogni nostro cricetesco tentativo è soltanto comico, anche se non sta bene riderne.
Alberto Ravasio (1990) si è laureato in Scienze filosofiche all’università degli studi di Milano. I suoi testi Pornogonia e Le vite sessuali sono stati segnalati al Premio Calvino 2018 e 2020. Suoi lavori in prosa sono apparsi su La Balena Bianca, La Nuova Verde, la nuova carne, L’Indice dei libri del mese, la Domenica del Sole 24 Ore. Non è lui Elena Ferrante.