Un racconto di Annalisa Maitilasso
Numero di battute: 2500
Avevamo affittato una casa bianca con la porta blu nel quartiere più visitato di Rabat. Le stradine, concave e verniciate di bianco, rispedivano al mittente le luci e i rumori; tutto rimbalzava come su un lenzuolo teso. Il gallo dei vicini, la mattina, ci sembrava di averlo nel letto, in mezzo a noi. Tu strizzavi gli occhi, assonnato, cercando riparo contro le mie ascelle.
«’Sto cazzo di gallo, tutte le mattine» protestavi.
Un attimo dopo, sentivamo lo spazzino col suo tramestio esuberante. Sarebbe stato meglio andare a vivere in uno dei quartieri borghesi del centro. Ma io volevo stare lì in mezzo alle foto dei turisti. La nostra porta era la più fotografata di tutta la Kasba. Era di un blu che entrava e usciva di continuo dagli obbiettivi dei telefonini, un blu trasognato in grado di penetrare nei ricordi delle vacanze.
«La nostra porta era la più fotografata di tutta la Kasba.»
La casa dentro era poco luminosa, nonostante la terrazza. Sembrava una grotta sottomarina. Ci abitavamo io, te e una colonia di scarafaggi. Li scacciavo, loro tornavano. Non riuscivo a farci l’abitudine: appena entrata in una stanza, frugavo subito negli angoli a caccia di movimento. Quella casa bellissima e fotografatissima ci sfiniva. Era piena di vita, di fantasmi, di rumori, dei figli dei vicini che si arrampicavano per venire a giocare nella nostra terrazza. Anche tu sognavi scarafaggi, sognavi cavallette, sognavi galli con la testa di turisti e le mie ciabatte ai piedi.
«Andate via» gridasti un pomeriggio a un paio di bambini.
«E dài, lasciali stare» feci io, con un sorriso ipocrita: ero felice di vederti con i nervi a fior di pelle. Finalmente uguale a me. Snervato dalla bellezza brulicante di quest’angolo di Marocco, stufo del blu, dei rumori, delle pareti spesse cinquanta centimetri eppure permeabili come membrane smagliate. Questa bellissima casa che avremmo raccontato ai nostri figli, una stranezza esotica di quando eravamo giovani, sapete, la porta era su tutte le cartoline…
Ce ne andammo un mattino, dopo aver salutato lo spazzino, abbracciato i vicini – «Tornate a trovarci, inshallà!» – e coperto i bambini di regali, matite e caramelle. Ci trasferimmo in un appartamento vicino alla stazione di cui controllammo subito che gli infissi fossero ben saldi e il pavimento lucido. Ero triste, mi sentivo stranamente svuotata, addirittura esiliata, lontana da quel piccolo microcosmo accogliente. Tu guardavi incredulo la mia faccia tirata, finché sulle pareti lisce, color ocra, non ci parve di vedere il guizzo di una creaturina veloce.
Annalisa Maitilasso, trentanove anni, vive in Spagna, è antropologa di formazione. Lavora in una ONG che si occupa di persone rifugiate. Ha vissuto in città diversissime: Bamako, Tolosa, San Francisco, Rabat, Tokyo, Venezia. Da molti anni risiede a Madrid. Ha vinto diverse borse di studio per partecipare ai corsi della scuola Belleville, tra cui un terzo premio al concorso Molto forte, incredibilmente lontano. Suoi racconti usciranno sulle riviste Blam e Grande Kalma. Ha un blog di liste in cui ogni tanto scrive per tenersi in allenamento: https://strangerlists.wordpress.com