Un racconto di Caterina Venere Marino
Numero di battute: 2493
Quando finì l’ultimo sorso di quel vino che bruciava gola e petto, Menico si alzò da terra e riprese a raccogliere con mani rapide le olive piccolissime che puntinavano la sua proprietà.
Era di poche parole, Menico. Amava riposare sotto l’albero di fico e diffidava delle persone che elargivano complimenti e sciorinavano carinerie. Quelle, a suo dire, erano le più pericolose.
Di ritorno dalla campagna, l’uomo trovò la figlia Teresina a letto, madida di sudore e con il respiro affannato. Chiese a Maria, sua moglie, cosa fosse successo. Maria raccontò che era appena passata la vicina per un caffè: «Sai quella che ha tutti figli maschi ma voleva tanto ’na femminuccia?» quando la bimba si era sentita male, così, all’improvviso.
Non gli era mai andata a genio, quella. Troppe parole, troppe smancerie.
Menico uscì per cercare di calmarsi. Si stava dirigendo verso il fico quando udì un forte ronzio. Giunto ai piedi dell’albero, vide un nero ammasso di mosconi levarsi da un pezzo di carne putrescente. Non era una carogna, piuttosto aveva l’aria di un taglio di macelleria piazzato lì da qualcuno.
«Troppe parole, troppe smancerie.»
Menico rimase a fissare quel pezzo di carne che pareva vivo nella sua brulicante decomposizione. Quindi si ridestò, rientrò in casa e ne uscì subito con uno straccio, un secchio di latta e dei fiammiferi. Si coprì il viso con l’incavo del gomito, prese la carne fetida con lo straccio, la gettò nel secchio e vi fece cadere dei fiammiferi accesi. Non appena le fiamme l’avvilupparono, gli insetti si dispersero.
Con il corpo scosso dall’adrenalina, Menico si diresse a passo svelto dalla figlia.
Teresina era sempre a letto ma aveva ripreso colorito in volto e sorrideva.
«Come stai, zemër?» le chiese Menico avvicinandosi.
«Mire» rispose Teresina, mentre con le dita sua madre le tracciava piccole croci invisibili sulla fronte e recitava un Padre Nostro e un’Ave Maria, alternativamente.
A ogni Ave Maria, la madre sbadigliava me lot, con le lacrime.
«Një gra, una donna!» esclamò rivolta al marito.
Menico non disse nulla ma uscì dalla stanza a passo lento. Quindi, prese una sedia di vimini dal salotto, la portò fuori e si sedette ai piedi del fico dove, ancora pregno della carne, il secchio giaceva muto. L’uomo chiuse gli occhi e lasciò che il sole, oltrepassando le ruvide foglie ondulate, gli sciogliesse i muscoli contratti.
Menico amava riposare sotto l’albero di fico.
Diffidava delle persone che elargivano complimenti e sciorinavano carinerie.
Quelle, erano le più pericolose.
Caterina Venere Marino (1994) vive a Milano da sempre ma è nata a Crotone e ha origini arbëreshë, ossia greco-albanesi. È laureata in Lingue e Letterature straniere e insegna Francese alle scuole medie. Collabora con il sito di recensioni Mangialibri e con TED traducendo i sottotitoli dei video animati di divulgazione tematica.