Un racconto di Dario Picchiotti Vanni
Numero di battute: 2033
«Mi dispiace, siamo alle antilopi» disse Adele pulendosi il grembiule; si allontanò per il corridoio, scomparendo in mezzo allo sciame convulso di Bull Boys e denti sparsi appena liberato dalla campanella.
Enea non ebbe nemmeno il tempo di rispondere e fu lasciato lì, appeso a una parola che non capiva: antilopi, certo, come l’animale: ma di cosa stava parlando? Con il tempo sarebbe diventato un nipote crudele, un figlio viziato, un amante mediocre e un marito noioso, ma di certo non avrebbe mai fatto un torto a nessuna antilope.
«Siamo
alle antilopi.»
E allora cosa? Siamo alle antilopi. E i leoni? E gli zulù, i cammelli, la savana a perdita d’occhio, i ghepardi sinuosi, gli elefanti mastodontici, gli ippopotami? Si era perso tutta l’Africa e non se ne era accorto: basta un attimo di distrazione e un intero continente ti passa sotto il naso.
Adele, dal canto suo, era pienamente consapevole del suo strambo uso delle parole: sebbene le maestre fossero convinte che avesse un leggero ritardo cognitivo, dovuto a un qualche evento traumatico avvenuto durante i suoi primi anni di vita, era invece lucida e determinata: i suoi genitori usavano la lingua come un’arma, prendevano le parole e se le tiravano addosso, pesanti e ruvide: bastarda, divorzio, stronzo; lei le raccoglieva e le trasformava nella sua lingua, e la lingua di Adele era dolce, morbida e accogliente, piena di parole come abbraccio, bacio, pulcino, miele.
E così, pur di usarla, iniziò a cambiare nomi e significati, ma la sua scelta ebbe delle ripercussioni, e scoprì presto che chiunque le si avvicinava veniva deriso e preso in giro. Con il fatalismo tipico dei bambini, si condannò quindi alla solitudine eterna.
Enea allora, preso dalla paura di perdersi qualche altro continente tipo la provincia di Prato o l’Oceania, cominciò a correre come un forsennato: entrò nella classe di Adele e la trovò in piedi davanti alla lavagna. Fece un gran sospiro e l’abbracciò, immergendo la faccia nei suoi capelli: le parole che gli vennero in mente furono marmellata e sole e ridere.
Dario Picchiotti Vanni (1988) è nato a Udine e vive da alcuni anni sull’isola di Capraia. Suoi racconti e poesie sono apparsi sugli Atomi di Oblique, inutile rivista, Narrandom, Voce del Verbo, Fantastico!, Spaghetti Writers, la Quarta Corda.