Un racconto di Antonio Giugliano
Numero di battute: 2488
Dovevamo andare a prendere l’acqua al pozzo. Io e la capra. La capra si chiamava Askenatze.
Era nata il giorno che ci fu il bombardamento della casa degli Haskbel, il 37 settembre. Noi c’eravamo salvati per caso, disse zio Hebron, solo perché un coso di missile era caduto venti metri più in là. Zio Hebron aveva tutti i denti verdi. Gli piaceva il tè. Ne beveva a litri. Era il fratello di mia madre. La casa degli Haskbel non esisteva più. E neanche loro.
Ma a quell’epoca c’erano tante di quelle bombe che non ne potevi tenere il conto. E nemmeno delle case distrutte. Vedevi il giorno dopo un cartoccio sfigurato di ossa bruciacchiate. Gente morta. Però spezzettata. Hai visto mai un morto a pezzi e bruciacchiato? In fondo a me non me ne importava. Io ero vivo. Zio Hebron non l’avrebbe mai potuto capire. Ma io sì. Ero un bambino, no? Io lo sapevo che il buon dio mi avrebbe sempre salvato dai bombardamenti. I bombardamenti era una cosa dei grandi, io che c’entravo?
«Hai visto mai
un morto
a pezzi
e bruciacchiato?»
Hai visto mai un morto a pezzi e bruciacchiato? In fondo a me non me ne importava. Io ero vivo. Zio Hebron non l’avrebbe mai potuto capire. Ma io sì. Ero un bambino, no? Io lo sapevo che il buon dio mi avrebbe sempre salvato dai bombardamenti. I bombardamenti era una cosa dei grandi, io che c’entravo?
Askenatze invece era una capra irriverente. Oddio, era ubbidiente, ma ogni tanto voleva fare di testa sua. Nel senso che anche se io la chiamavo, voleva per forza di cose andare dove non si poteva andare. E io la riprendevo: «Askenatze! Askenatze!» gridavo.
Le piaceva andare a brucare le foglie di fico.
«Ma non lo vedi che le foglie di fico sono troppo alte per te?»
Lei saltellava intorno al fico.
E allora ci salivo io, sul fico, e strappavo le foglie per darle ad Askenatze.
Dovevamo fare due o tre chilometri per arrivare al pozzo. Io mi portavo sulle spalle la tanica da venticinque litri, però a casa gli dicevo che la mettevo sulle spalle di Askenatze. È che mi piaceva vederla sgambettare libera. Si metteva ad annusare ogni cespuglio. C’erano le piante di mirto e di pepe. Le piaceva soprattutto la pianta di pepe. L’annusava e starnutiva. E mi faceva ridere. Era proprio una scema. Dopo aver annusato la pianta di pepe starnutiva e mi guardava con quell’aria propria di chi ti dice: “Ma che è successo?” e io mi facevo delle grandi risate.
Comunque non c’era proprio da stare allegri, disse zio Hebron. Ora sarebbero arrivati i nemici e dovevamo sloggiare e avremmo dovuto andare più a Nord, dove non c’è acqua, e avremmo dormito guardati dalle stelle. Ma noi c’avevamo il sacco a pelo. E io vedevo le stelle e me le guardavo tutta la notte e dicevo buon dio tu guardaci dalle stelle e guarda soprattutto Askenatze che è scema e non capisce niente e basta che si mangia le foglie di fico.
Lei è contenta così.
Antonio Giugliano ha pubblicato i romanzi Love kaputt (Augh! 2017), La valigia del venerdì (Freccia d’oro 2020) e Topi (WriteUp 2022). Alcuni suoi racconti sono stati accolti in antologie e in diverse riviste letterarie, tra le quali Crapula club, L'Irrequieto Quaerere, Split. Per il mese di settembre 2022 è prevista l'uscita del suo quarto romanzo, Nembutal.