Un racconto di Francesca Modena
Numero di battute: 2494
Ferma in tangenziale, alzo il volume della radio per non sentire il rumore dei clacson. Provo a vedere dove finisce la fila e il mio sguardo si perde nella colonna. Mi chiedo come potrei usare il tempo che passo in macchina ogni giorno, poco più di un’ora tra andata e ritorno. Ascoltare un podcast, pianificare la settimana, chiamare un’amica che non sento mai. Trovo un parcheggio di fronte all’ufficio, qualcuno oggi lavora da casa.
Controllo il telefono, c’è un messaggio di Luca: “Ne ha parlato ancora, stamattina a colazione”.
Vedo che è online, rispondo subito: “Cos’ha detto?”.
“Ha detto che i nonni muoiono nel loro letto durante la notte perché prendono paura.”
“Dobbiamo parlarne con qualcuno?”
Mio figlio maggiore – Pietro, quattro anni – è in fissa con la morte. Questa cosa è emersa durante i lockdown o forse c’era già prima e non passavamo abbastanza tempo insieme per accorgercene. Ma quando tutti siamo tornati alla normalità, lei, la morte, è rimasta con noi.
«Mio figlio maggiore
– Pietro, quattro anni –
è in fissa con la morte.»
Della morte Pietro ha colto il rapporto di causa effetto e ce lo ricorda costantemente: invecchi e muori, cadi dalla bici e muori, ti ammali e muori. Quello che gli sfugge è l’irreversibilità della condizione: per lui è uno stato temporaneo, dal quale si può tornare. L’altro giorno mi ha detto che non voleva che sua cugina morisse perché sarebbe rimasta morta tutto il giorno e non avrebbero potuto giocare. Gli ho risposto di stare tranquillo, che non sarebbe successo. Non che sembri soffrirne, pare del tutto sereno. Quelli a disagio siamo noi, immersi in una perenne consapevolezza della fine.
Approfitto della pausa caffè per mandare un messaggio a Luca: “Stai tranquillo, mi sembra che Pietro stia bene”.
“Sarà…” risponde lui. “Ne parliamo stasera, non fare tardi.”
Alle 17 salgo in macchina e mi affretto a occupare il mio posto nell’ingorgo. Ferma a un semaforo, aggiorno Facebook. Un mio collega scrive che “Nella vita, quando meno te l’aspetti, non succede un cazzo”. Metto una faccina che ride e riparto.
Quando arrivo a casa mio marito e i bimbi stanno guardando il Re Leone, tra poco Mufasa morirà precipitando da una roccia e domani tornerà sulla rupe dei re ad annunciare la nascita di suo figlio. Ivana Spagna canta la canzone del cerchio della vita, che mio figlio Pietro ha preso alla lettera. Anche stasera stiamo in casa. Luca dice che da quando abbiamo i bimbi non usciamo mai. Io dico che tanto piove, dove vuoi andare. Pietro dice che se esci con il temporale e ti colpisce un fulmine, kaputt.
Francesca Modena è nata a Modena, dove vive e lavora come copywriter e autrice per la comunicazione. È responsabile organizzazione di DIG - Festival internazionale di giornalismo investigativo. Suoi racconti sono apparsi su Finzioni Magazine, Pastrengo, inutile, Abbiamo le prove.