Un racconto di Emanuele Muscolino
Numero di battute: 2470
Cos’era, un sogno? Forse un sogno. Ero piccolo, ero allegro, correvo. Qui nello specchio sono un vecchio. Era un sogno.
Inciampo su una sagoma nera, non è nera, è grigio scura, non è una sagoma, non ha neanche una forma. È un buco, una macchia. Come ho fatto a sbatterci? Passo dritto, non la voglio guardare, rischio di credere che esista davvero. Dio, l’ho toccata, ci ho sbattuto. Torno indietro: è solo una macchia, una macchia fuori fuoco. Avvicino una mano, allungo le dita, non arrivo a toccarla. Riprovo: niente, nessuna consistenza, la mano passa oltre, arriva al pavimento, è liscio come sempre. È ora di fare colazione. Che ore sono? C’è luce fuori?
Nel sogno avevo occhi di un altro colore. Azzurri. Io non ho occhi azzurri. E un segno, un segno sul braccio che non ho. È un sogno ricorrente. Mi rivedo bambino, felice, ma non mi riconosco. Sono io, non posso che essere io. Eppure non mi assomiglio.
«Che ore sono? C’è luce fuori?»
In ufficio posso lacerarmi. È facile, basta afferrare un tovagliolo. Un tovagliolo non taglia, ma la stoffa può diventare ruvida. Basta lavorarci. L’anta scheggiata dell’armadietto mi ha sbucciato il pollice. Un taglio profondo, fino alla carne, un rosso vivido. Come le branchie di un pesce agonizzante, così è il mio pollice.
Vedo alberi di uomini: uomini come rami, neonati come frutti, appallottolati, cadono su un letto di foglie morte. Si alzano, tornano all’albero e si arrampicano: è un vecchio muscoloso l’albero, ha membra cadenti. Scalandolo i pupi si fanno ragazzi; raggiungono il ramo che li ha generati, prendono il posto accanto alla donna: sono adulti. La donna è anziana. Il sole è alto, come quando sono caduti. La donna cade e si fa foglia: anche il sole cade, è notte.
I sogni mi riportano a un passato che non ricordo, ma che mi appartiene. Mi guardo allo specchio a tutte le ore e non vedo i segni di ciò che ero. Rimango al buio, nello sgabuzzino: un buco di un metro per uno, scaffali ovunque, senza spazio per voltarsi. Ci sono cassetti, vani, pertugi tra le cose ammucchiate, spifferi da cui potrebbe uscire qualsiasi cosa.
Madre, se fossi nato con le rughe mi avresti amato?
Sto cercando dentro di me i pezzi del bimbo che vedo la notte. Non li trovo. Non mi appartiene, non c’entra con me, eppure mi somiglia. Ora mi somiglia. Non è demenza, dicono, solo il desiderio di tornare piccolo.
Mi sto preparando a un’altra vita, sto partendo per un viaggio. Ho deciso di andare, sono in ospedale. Dove si nasce e si muore. Io vado a rinascere.
Emanuele Muscolino è nato a Roma nel 1984. Dopo la laurea in Arti e scienze dello spettacolo ha pubblicato il saggio Paradossi della soggettiva. Visione pura e visione-sguardo nella sequenza cinematografica. Ha lavorato come montatore per il cinema e la tv ed è autore di cortometraggi, documentari e reportage girati tra Asia, Africa e America Centrale. Da quando ha letto Gödel, Escher, Bach ha cominciato a scrivere. Un suo racconto è apparso su inutile, un altro è in uscita su Blam.