Un racconto di Simone Massara
Numero di battute: 2457
Un maniscalco gotico, stanco d’esser maniscalco, leggeva un romanzo seduto in poltrona presso la finestra. Non prestava attenzione al libro. Sul tavolo al suo fianco, un bicchiere mezzo vuoto era illuminato dai chiari raggi solari fluttuanti attraverso il vetro della finestra. Gli attrezzi arrugginiti riposavano sul bancone, in fondo, e il caminetto ardeva dolce, languido nelle sue stesse braci.
Ma il maniscalco attorcigliava le meningi, come le gotiche edere miniate nei codici, attorno a una domanda. La domanda gli pareva sciocca. Eppure al tempo stesso così pregnante. Lo assillava quando la evitava; una zanzara, che torna a ronzare nell’orecchio, gli occhi appena chiusi, in una notte d’estate. Non trovava risposta, scacciava la domanda, e questa ritornava. Gli occhi inciampavano sul romanzo, e il bicchiere era sul tavolino, gli attrezzi abbandonati lì, in fondo alla sala, il caminetto ardente all’angolo, le ombre sul legno del pavimento parevano scricchiolare, e la domanda era: “Cosa fa un maniscalco?”.
Tremava tutto. “Cosa fa un maniscalco? E, per di più, se è anche gotico? Cosa lavora? Che attrezzi usa? Chi va dal maniscalco?”
«Cosa fa un maniscalco?»
Perché, a dirla tutta, forse il nostro maniscalco gotico, stanco della sua vita da maniscalco, questa parola designante il suo mestiere la conosceva solo per sentito dire, per le fiabe, i vecchi libri, le leggende… Lui stava lì seduto a leggere, ed era un maniscalco. Immobile, inamovibile era; mentre la realtà scalciava.
Fuori brillava il sole, una luce ineluttabile (impossibile sbagliarsi su quanto fosse reale quella luce!), eppure lui era sempre lì e faceva sempre di mestiere il maniscalco. Era mai possibile una cosa del genere? E come ci era arrivato, poi, a fare il maniscalco? C’erano degli studi? Aveva un diploma da maniscalco? Un certificato, una patente, un riconoscimento qualsiasi della gilda dei maniscalchi? E tutto questo ripetere quella parola, lunga e strana, dal suono spezzato, non la rendeva assurda, allucinante?
Allucinato, sentiva il suo corpo in migliaia di particelle immerse nel viscoso elemento di un tempo bloccato in un presente eterno, paradossale, ed era spaventato oltre l’inverosimile, mentre manteneva il suo atteggiamento discreto, lì accanto la finestra, col suo romanzo in grembo, e dentro un tremendo terremoto lo sventrava. Il nostro maniscalco. Neanche una lacrima. Ma tutto quello spavento. Quell’Etna nel torace. Quella domanda: così strana e vera. Così ingiusta.
Simone Massara è nato a Messina, e tra Sicilia e Calabria ha trascorso gran parte del suo tempo. Adesso passeggia a Roma, dove studia anche Filologia moderna.