Un racconto di Stefania Maruelli
Numero di battute: 2441
Fare i conti con la mia mancanza di utilità ha richiesto una sorta di fisioterapia, come se stessi curando un polso slogato. Ecco il mio esercizio: aprivo una porta e immaginavo il mondo ideale. Se ne stava lì, a portata di mano. Aprendo la porta del bagno, commentavo ad alta voce che bella giornata fosse, alla porta della camera da letto raccontavo i miei appuntamenti inventati. Allungavo una mano nell’armadio e dicevo, Che bello, oggi metterò questo vestito.
Facevo pratica con le porte e le ante dopo che Luca se ne usciva per andare al lavoro. Aspettavo di restare sola fingendo di dormire, poi, appena sentivo chiudersi la porta di ingresso, sgattaiolavo fuori dal letto e correvo in cucina, aprivo la dispensa e dichiaravo che avrei fatto una torta – di mele, soffice – da mangiare col secondo caffè. Quindi riscaldavo quello avanzato e lo buttavo giù appena prima di accendermi una sigaretta.
Hai visto che sole? dicevo alla finestra, oggi andrò a fare una passeggiata. Dopodiché la richiudevo e tornavo a letto; non mi alzavo mai prima di mezzogiorno, quando scendevo a ritirare la posta – pacchi di Amazon perlopiù (maschere per il viso, pillole, integratori, sonniferi) – dalla portinaia.
«Aprivo una porta e immaginavo
il mondo ideale.»
Farmi vedere da lei era importante: significava che quella mattina mi ero svegliata, significava che stavo curando quel polso slogato, significava che non ero del tutto inutile. Mi infilavo il cappotto sopra il pigiama, raccoglievo i capelli e mi passavo del rossetto sopra le guance; le sorridevo. Lei mi allungava i pacchetti e intanto mi valutava: se andavo bene mi salutava con un cenno senza smettere di parlare al telefono, se andavo male mi sorrideva e mi apriva il portone – allora ero costretta a uscire e tornare dopo mezz’ora. Capitava almeno un paio di volte a settimana. Mi allungavo fino al bar all’angolo e chiedevo un caffè che bevevo controllando il portone di casa: appena lei usciva, io tornavo.
Il pomeriggio era più lento, lo passavo sui social a controllare la vita degli altri come la portinaia controllava la mia; alle sei aprivo una bottiglia di vino, riempivo un piattino di olive e bevevo sul divano mentre andava il telegiornale. Non sempre era interessante, allora cercavo una malinconia, a volte piangevo pensando a un uomo inventato; quando Luca tornava accendeva le luci, svuotava la spesa, apparecchiava la tavola; io allora infilavo un paio di jeans e passavo di nuovo il rossetto.
Stefania Maruelli vive a Milano dove lavora come copy e editor freelance. Ha frequentato corsi di scrittura creativa presso Scuola Holden, Belleville e Bottega di narrazione. Ha studiato editing con Michele Vaccari e con Francesca de Lena. Suoi racconti sono apparsi su inutile, Narrandom, L’Inquieto, L’irrequieto, Risme, Allarmata radura e altre riviste online.