Un racconto di Francesco Nicolli
Numero di battute: 2495
Mi hai lasciato perché abbiamo quarant’anni e non ti do più emozioni, ma solo affetto. Mi hai lasciato dopo che ho iniziato un secondo lavoro per poterci comprare un appartamento – vicino al centro, ma con un po’ di scoperto. Mi hai lasciato dopo avermi convinto ad avere un figlio anche se non volevo, ma che almeno non è venuto. Mi hai lasciato che ti avevo appena aiutato a comprare la macchina nuova – pago io i bocchettoni dell’aria, avevo scherzato, siamo una famiglia.
Mi hai lasciato e mi sento come durante un’immersione, nel momento in cui l’aria inizia a scarseggiare e il pelo dell’acqua sembra irraggiungibile.
«Mi hai lasciato perché abbiamo quarant’anni.»
Mi hai lasciato e quando guardo le vecchie foto non riesco a non sorridere – siamo stati ragazzi insieme, sei stata all’ospedale al mio fianco, sei stata nuda, al mio fianco –, ed è sempre un po’ come fossi qui con me.
Mi hai lasciato e nonostante siano passati più di dieci anni dalla prima volta, pensare a te ancora mi fa venir voglia di partire, raggiungerti, e stringerti in un abbraccio che conduce dritto al letto.
Mi hai lasciato e ho trovato un’altra. L’ho trovata perché sto invecchiando, e perché la mia famiglia ci rimane male, se resto solo.
Io ci rimango male, se resto solo.
Con la nuova sto correndo, più veloce del dolore, più veloce della tua assenza.
Siamo andati a vivere assieme. Parcheggia l’auto nel tuo posteggio e stende i panni nel tuo scoperto. Le ho regalato un vestito che ho comprato nel negozio che ti piaceva tanto, quello nella strada tra casa e l’ufficio. L’ho portata a Firenze a vedere Giotto, a mangiare la schiacciata di Scheggi e a prendere il sole nella piscina accanto allo stadio, dove mi hai insegnato a respirare tra una bracciata e l’altra e io non l’ho mai imparato. E quanto eri buffa con quei panini pieni di salsa – ti ci sporcavi fino alle guance, come una bimba.
L’ho persino portata a passeggio nel sottomura, dove andavamo ogni sabato a lamentarci di una società in cui non sembrava esserci spazio per noi due. E siamo anche stati in Inghilterra, a mangiare gli scones e a bere una birra nel pub vicino al fiume di cui non ricordavo mai il nome. Certo lei è astemia, tu invece con in mano una birretta scura come i tuoi capelli eri proprio carina.
E ora che siamo a Roma, l’ho portata a cena a Testaccio, in tutti quei ristorantini che ci ha consigliato la tua capa. Ma sul Pincio – se siete innamorati, andateci l’ultimo giorno al tramonto, ci aveva detto – sul Pincio non siamo stati.
Sul Pincio ci potrei tornare solo con te.
Francesco Nicolli è nato a Ferrara nel 1981. Di mestiere scrive di ambiente ed economia e insegna all’università. Nel tempo libero ascolta musica e accumula libri, sognando il giorno in cui avrà tempo per leggerli tutti.