Un racconto di Giorgia Mosna
Numero di battute: 2489
Quando la notte è un conto alla rovescia, Enrico sprofonda nel cuscino e sulle dita della mano sfiora le ore che lo separano dal risveglio.
«M’ama, non m’ama…» dice, e sospira e aspetta.
È dall’estate in cui incontrò il cane che Enrico aspetta.
Non ha mai capito come sia successo, nemmeno sa se è successo davvero, anche se quando racconta giura che è accaduto. Si era avvicinato al cane perché era un cane, un border collie bianco e nero come sono i border, con gli occhi nocciola. Enrico lo aveva accarezzato considerando marginalmente la ragazza che lo portava, una abbronzata, molti braccialetti, un intenso profumo di vaniglia.
Lui aveva guardato il cane, solo il cane. Lo aveva toccato al collo, nel folto del pelo, fissandolo negli occhi pur sapendo che con i cani non si dovrebbe.
Non si dovrebbe con nessuno, in effetti.
«Lui aveva
guardato il cane.»
Nel momento in cui le loro pupille si erano agganciate qualcosa era accaduto, un magnetismo, che aveva polverizzato la sua percezione di sé. Sai, quel contorno che senti, quello che ti fa dire “io”. Enrico dice che il bordo non l’ha sentito più; dice che lui era nel cane.
Per l’esattezza, Enrico dice che era il cane ma anche tutto quello che cane non era, e che il senso di essere sé stesso, di essere quindi Enrico e non altro era scomparso.
Letteralmente. Di fatto.
Di solito, Enrico a questo punto si emoziona. Il fiato gli si fa corto e appoggia gli occhi di lato. Se ti stava guardando, non ti guarderà più. Così, a bassa voce, Enrico ti dirà del tempo.
Ti dirà che il tempo era scomparso.
Dirà che quando ha guardato negli occhi il cane, lui ha toccato l’eternità.
Dirà d’aver capito in un sol colpo quello che intendevano i filosofi medievali, quella faccenda di Dio che conosce ogni particolare perché tutto è fermo ed esiste contemporaneamente, e non c’è divenire, discesa, inizio o fine sotto il suo sguardo; che tutto è compreso e benaccetto.
Poi la ragazza aveva fatto tintinnare i braccialetti. Faceva caldo e la sua pelle aveva emanato quello sgradevole odore di vaniglia; ha detto che doveva andare e il cane aveva subito scodinzolato. Sull’orlo di quella voce rotta il cane era tornato nel cane, e suo malgrado anche Enrico era rientrato. Il cane al cane, Enrico in Enrico, il momento si era chiuso, senza che nessuno se lo sia riuscito a spiegare.
Tranne quando è notte, e il soffitto contro cui si dibatte gli ricorda l’essenza.
Allora Enrico è l’unico che sa: se dovesse succedere ancora, allo spalancarsi del tempo lui non si farà distrarre da nulla.
Giorgia Mosna è nata a Bolzano. Ha studiato violino e viola nel Conservatorio della sua città e poi a Roma. È stata violista ma ora non lo è più, si è occupata di letteratura per l'infanzia ma ora non più. È stata casellante, commessa in una libreria, segretaria. Scriveva e scrive ancora. Suoi racconti sono apparsi sul blog del Penelope Story Lab, sul blog del Super Trump Club, sulla rivista Turchese. Nel 2023 è stata selezionata tra i semifinalisti della call racconti del premio Calvino.