Pastrengo Agenzia Letteraria

racconto fava giovanni

nuotare

Un racconto di Giovanni Fava
Numero di battute: 2296

Il nuotatore non ha nome. Di tanto in tanto dalla riva lo si vede passare, guardando verso il largo. La sua testa e le sue gambe e le sue braccia fendono l’acqua che si apre e subito richiude ed emergono come il dorso di un pesce che nuota in superficie. I bambini in spiaggia lo indicano e saltano, lo seguono finché il fiato regge correndo sul bagnasciuga. Poi il nuotatore cambia direzione, si spinge più al largo, sparisce tra le onde e i flutti.

La mattina o nel tardo pomeriggio, il mare è piatto, corre come un deserto fin dove non si vede più. Riflette le poche nuvole impassibili che procedono verso l’orizzonte. Qualche uccello, un gabbiano, attraversa il cielo in diagonale. Il suo grido taglia l’aria e raggiunge il nuotatore, che ora attraversa il mare con bracciate comandate da un ritmo militare. Quando c’è la luna piena invece il mare assume un’altra forma, aumenta in trasparenza e i pesci salgono in superficie. Hanno le scaglie come il metallo.

«Il mare è piatto, corre come un deserto fin dove non si vede più.»

Il nuotatore avanza illuminato dalla notte mentre un fascio di luce si proietta su di lui, lo sospinge nella desolata vastità delle acque che attraversa riandando coi pensieri al tempo in cui viveva a terra, dentro a un silenzio che è totale. Gli manca quel sostegno sotto i piedi? Gli mancano le voci, gli odori degli amici, di suo padre, di sua madre? Il nuotatore lascia che lo scrosciare dell’oceano gli riempia la memoria, perché l’acqua è il suo presente e il suo orizzonte.

Una volta il nuotatore si trovò affiancato da una donna. Anche lei nuotava. Per lunghe ore, nuotarono insieme scambiandosi sguardi cadenzati interrotti solo dal ritmo delle bracciate finché un’isola apparve sul filo dell’oceano. Il nuotatore le disse che non avrebbe più toccato terra, che doveva fermarsi lì dove l’acqua ancora era alta e il mare profondo. Non posso, disse, non posso fermarmi.

Lei proseguì sino a riva dove lentamente tirò il suo corpo fuori dall’acqua per sedersi rivolta all’oceano, guardando l’orizzonte. Il sole calava e il nuotatore già non si vedeva più. Piangevano entrambi con le lacrime che diventavano acqua e gli animali marini che ascoltavano in silenzio, indifferenti a quell’immotivata disperazione.

Il mare è un buon posto per i pesci, soprattutto per i pesci che vivono nelle fosse più profonde. Non per gli uomini.

giovanni fava bio

Giovanni Fava (1996) vive tra Treviso e Venezia, dove sta facendo un dottorato in Filosofia su temi ecologici. Dirige Palomar – Rivista di filosofia e traduce dall’inglese per Anthropocene.org. Altri suoi racconti sono apparsi su Micorrize.